Giustizia civile, durata processi: lavorando “in sequenza” si riduce del 30% il tempo della causa

Interessanti risultati sono emersi dallo studio sulle Sezioni Lavoro dei tribunali di Milano e Torino, riguardante il numero dei procedimenti assegnati e la durata dei processi. L’indagine, condotta dagli economisti Decio Coviello, Nicola Persico e Andrea Ichino, porta, infatti, a concludere che se i magistrati adottano un metodo di lavoro “sequenziale”, cioè operano contemporaneamente su pochi processi, sono in grado di portare a termine più velocemente i procedimenti loro assegnati, rispetto ai giudici che, invece, lavorano nello stesso momento, dunque, in “parallelo” su molti processi. Il lavoro a sequenza, in particolare, consentirebbe, secondo gli economisti, di ridurre del 30% la durata dei procedimenti, cioè di risparmiare 3 mesi su 9. “I cuochi che tengono meno pentole contemporaneamente sul fuoco” sono quelli che sono capaci di “cucinare un numero maggiore di pasti per unità di tempo”. Con questa similitudine, Andrea Ichino evidenzia come tenere meno casi attivi possa permettere ai magistrati di accorciane sensibilmente i tempi. A parte il dato relativo alla migliore produttività dei giudici del Foro di Torino, rispetto ai colleghi di Milano (il magistrato di Torino conclude in media in 174 giorni 261 cause, mentre a quello milanese occorrono 324 giorni per definire un minor numero di procedimenti, cioè 169), dalla ricerca emergono notevoli differenze di efficienza anche all’interno dello stesso ufficio, dove si ritrova il magistrato Lento e quello Veloce. Il primo è proprio colui che, lavorando in parallelo su troppe cause, riesce a concluderne in un trimestre solo 76 contro i 134 procedimenti che vengono portati a termine, nello stesso arco temporale, dal giudice Veloce che lavora in sequenza. Quanto ai vantaggi per le parti, Ichino fa notare che laddove si adotta il metodo sequenziale, il cittadino deve attendere di più perché il proprio processo venga iniziato, però questo “una volta aperto, viene chiuso molto più in fretta (…)”. E velocità, secondo gli economisti, non sarebbe sinonimo di scarsa qualità del lavoro, dal momento che le sentenze dei giudici più veloci sarebbero anche quelle meno impugnate. (D.A. per NL)

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