Se si chiedesse ad un giudice italiano in quanti anni si prescrive un reato riguardante la mancata corresponsione dell’IVA, la sua probabile risposta sarebbe: “dipende”.
La prescrizione di reati in materia di IVA è come un elastico che si allarga e restringe, tirato, da un lato, dagli interessi finanziari dell’UE e, dall’altro lato dai paletti posti dalle corti italiane.
La sentenza C-105/14 della Corte di Giustizia (nota come sentenza Taricco) aveva additato la legge italiana come inefficace nel sanzionare i comportamenti fraudolenti in materia di IVA perché il termine di prescrizione troppo breve avrebbe lasciato impunito il colpevole. La Corte aveva così rivolto un monito al legislatore, ricordandogli i suoi obblighi verso i Trattati: « secondo l’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), gli Stati membri devono lottare, con misure dissuasive ed effettive, contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione e, in particolare, prendere le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro propri interessi finanziari. La Corte rammenta inoltre che il bilancio dell’Unione è finanziato, tra l’altro, dalle entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati, ragion per cui esiste un nesso diretto tra la riscossione di tali entrate e gli interessi finanziari dell’Unione». Tale pronuncia avrebbe dovuto comportare, nei casi simili di frode e mancato pagamento del tributo principale dell’UE, la disapplicazione della legge italiana sul punto dei termini di prescrizione, in favore dell’interpretazione della Corte di Giustizia che tende ad allargare i limiti dell’istituto fino al limite dell’imprescrittibilità. Tuttavia la Cassazione penale non si dimostra aperta ad accogliere in toto questo orientamento ed effettua distinzioni fondate sulla presenza o meno dell’elemento della “grave frode”. Secondo il principio affermato nella recente sentenza 16458 del 31 marzo 2017, laddove il dolo specifico (cioè la frode) non sia elemento caratterizzante la fattispecie, questa non sarebbe inquadrabile nell’ipotesi di imprescrittibilità disegnata dalla Corte di Giustizia. Le misure sanzionatorie inerenti alla fattispecie non dovrebbero rispettare gli standard della dissuasività ed efficacia a tutela degli interessi finanziari dell’UE ex art 325 TFUE e quindi il reato si prescriverebbe nel normale termine fisso di 7 anni previsto dalla legge italiana.
La citata sentenza si pronunciava, in termini di legittimità, sulla fattispecie di reato di “Omesso versamento di ritenute dovute o certificate” di cui all’art 10-ter d.lgs 74/2000. Nella pronuncia si legge: “La frode non è elemento costitutivo del reato che si consuma puramente e semplicemente con il mancato pagamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza del termine per il pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo ed è punibile a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato […] La prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta e che deve, quindi, essere saldato”.
Diversamente, in casi di dichiarazioni fraudolente ai sensi dell’art 2 del d.lgs 74/2000, la Cassazione si è pronunciata applicando il principio di diritto europeo dell’imprescrittibilità (sentenza 2210/2015). La casistica di questo tipo di reati è variegata, quindi sarà necessario attendere un’applicazione (o disapplicazione) concreta della legge per sapere quali fattispecie, a detta della Cassazione, godano del termine di prescrizione elastico e tendenzialmente illimitato indicato dalla Corte UE. (V.D. per NL)