Giurisdizione di legittimità: diniego su inapplicabilità norme antielusive espresso da A.d.E. è impugnabile innanzi alla C.T. che può decidere merito operazioni prospettate

Secondo la Corte di Cassazione il no all’interpello si qualifica quale provvedimento amministrativo definitivo e come tale impugnabile direttamente avanti all’Autorità Giudiziaria, che la norma speciale identifica nella Commissione Tributaria Provinciale funzionalmente e territorialmente competente.

La sentenza n. 8863 del 2011 pronunciata dalla Suprema Corte e depositata in cancelleria lo scorso 15 aprile, è stata sollecitata da alcuni istituti di credito che si erano visti opporre dal Direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate un diniego in merito alla inapplicabilità, per quanto concernente determinate operazioni negoziali, della norma antielusiva di cui all’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973. Nell’interpello, proposto ai sensi del comma 8 del predetto testo normativo, infatti, le banche ricorrenti intendevano dimostrare l’assenza di effetti elusivi delle imposte afferenti taluni negozi giuridici, nello specifico in merito alla inoperatività dei limiti previsti per l’applicazione del prelievo fiscale nelle forme della c.d. Dual Income Tax (cioè la duplicazione dell’imposta sul reddito che prevede una sorta di agevolazione in favore dell’impresa nel calcolo dell’I.R.P.E.G. sull’incremento di capitale netto che al tempo dell’insorgenza del contenzioso era regolata dal D.P.R. n. 466/1997). In proposito, per l’Amministrazione finanziaria – che in casi del genere deve limitare la propria istruttoria “(…) ad una valutazione della forza probante della documentazione presentata dal contribuente” impegnato a dimostrare nei confronti dell’Erario l’assenza di qualsivoglia intento elusivo e/o di indebito risparmio d’imposta secondo l’oramai consolidato schema dell’abuso del diritto (art. 37 bis, c. 8, D.P.R. n. 600/1073) – denegava l’avallo al piano finanziario elaborato dagli istituti di credito istanti che, a quanto pare di capire leggendo tra le righe della motivazione, atteneva talune operazioni di fusione e/o incorporazione tra differenti istituti. Il provvedimento amministrativo emesso veniva impugnato innanzi alle Commissioni Tributarie di primo e di secondo grado, giudizi nei quali i collegi territoriali rigettavano le istanze dei ricorrenti sulla scorta di motivazioni integralmente disattese nell’ambito del giudizio di legittimità. Nel merito dell’argomentazione degli Ermellini, preliminarmente veniva chiarita la questione relativa alla legittimità del ricorso avverso il diniego sull’inapplicabilità della norma antielusiva in questione (art. 3, c. 3, lett. c, D.P.R. n. 466/1997 oggi confluito nell’ambito del D.Lgs n. 344/2003) che, ai sensi dell’art. 19, c. 1, lett. h) poteva (e può) a pieno titolo essere proposto – vantando il relativo diritto soggettivo definito da Piazza Cavour “perfetto”- avverso “il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari”, identificabile nella risposta sull’interpello fornita dall’Agenzia delle Entrate atta a precludere il godimento del trattamento fiscale favorevole. Se così non fosse, infatti, sarebbero violati gli artt. 3 e 24 della Costituzione. In questo senso risultava chiara alla Suprema Corte “(…) la sussistenza dell’interesse ad agire, in quanto l’azione giudiziale è diretta ad eliminare un effetto sfavorevole altrimenti non eliminabile”, rappresentando la riconosciuta giurisdizione del giudice tributario esclusione della sussistenza di interessi legittimi come sostenuto, invece, dall’Amministrazione finanziaria che eccepiva l’incompetenza funzionale delle Commissioni in favore dell’Autorità Giudiziaria Amministrtiva. Ulteriormente, la Cassazione, statuito che il Giudice speciale aveva titolo – in sede di ricorso avverso in no all’interpello – di decidere nel merito dell’istanza formulata dal contribuente ed assentire o meno all’applicazione della norma antielusiva, concludeva enucleando il principio di diritto applicabile in casi del genere. Testualmente, dall’arresto giurisprudenziale di cui si tratta, “le determinazioni del Direttore regionale delle Entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi dell’art. 37 bis 8° comma DPR n. 600 del 1973, costituiscono presupposto necessario ed imprescindibile per l’esercizio di tale potere. Le determinazioni in senso negativo costituiscono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma ai sensi dell’art. 19, I comma, lett. H del DLGS n. 542 del 1992. Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente (…) rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all’istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate”. Gli atti del procedimento, quindi, venivano rinviati ad una diversa sezione della Commissione Tributaria Provinciale rispetto a quella che aveva pronunciato la sentenza cassata. Avendo trattato tale arresto di una questione, come accennato, inerente un ipotesi di abuso del diritto, un ultima chiosa la merita una recente decisione della C.T.P. di Genova (sent. n. 2/1/11 del 24 gennaio scorso) che ha annullato l’iscrizione a ruolo da parte di Equitalia s.p.a. di crediti erariali derivanti da un operazione di ristrutturazione aziendale rettificata (in quanto pretesa dall’Agenzia delle Entrate ingiustificatamente favorevole in termini fiscali per l’impresa promotrice) ai fini delle imposte dirette ed indirette per un ammontare complessivo di oltre 13 milioni di euro. L’adito Giudice, infatti, annullava in questo caso la cartella esattoriale emessa dalla concessionaria per la riscossione dei tributi in quanto illegittima (anche se nella misura dei 2/3 dei crediti erriali accertati) perché emessa prima della decisione di primo grado, interpretando in maniera estensiva quanto sancito dall’art. 37 bis, c. 6, D.P.R. n. 600/1973, a nulla valendo la difesa della parte pubblica che giustificava il tiolo esecutivo recapitato sulla base della circostanza in base alla quale l’Agenzia contestava al contribuente un ipotesi di “abuso del diritto”. (S.C. per NL)

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