Ieri Andrus Ansip, vicepresidente della Commissione Europea, ha tenuto un’audizione davanti alle Commissioni riunite Trasporti, Attività produttive e Politiche dell’Unione europea di Camera e Senato, sottolineando in apertura e in modo perentorio che la “non esistenza del mercato unico digitale è di 415 miliardi di euro l’anno”.
Prevedibile che il discorso approdasse rapidamente sulla banda 700 MHz, argomento “estremamente importante, da cui dipende il 5G e l’Internet delle Cose”, al quale “è legata la competitività dell’Unione europea e dell’intero scenario globale” e che risulta anche essenziale per “nuovi mercati come quello delle connected cars (munite di sim 5G), che rischiano di non essere disponibili in certi paesi (per mancanza di reti compatibili con il nuovo standard)”. In Corea il 5g dovrebbe partire fra due anni e con la sola banda 800 MHz, in Europa rimarrà un sogno. La data del 2020 rischia di essere già un ritardo del vecchio continente ma, non contento, il legislatore italiano preferisce ottenere un ulteriore ritardo e sbandierarlo come una vittoria. Per nascondere errori istituzionali come frequenze assegnate fino al 2032 o switch off televisivi fatti di fretta e con poco riguardo verso l’evoluzione tecnologica e proteggere mal riusciti investimenti nella radio (presunta) digitale, le istituzioni rischiano di affossare il prossimo futuro delle reti ad alta velocità; con loro, a subire le conseguenze di questa scelleratezza, i servizi di streaming online ad alta qualità, le auto interconnesse con tutti i benefici per la web radio ma, soprattutto, “il futuro degli Stati membri”, se non altro in termini di competitività nell’industria digitale. D’altronde, come diversi anni fa prevedeva un noto linguista italiano, l’Italia del futuro non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione.