C’è un dovere di testimonianza civile al quale nessuno ha il diritto di sottrarsi eludendolo con parole più o meno altisonanti. I colleghi che collaborarono con Pippo Fava in quella avventura di impegno sociale che fu “I Siciliani” si trovano oggi chiamati a rispondere con i loro beni personali alle conseguenze di una sentenza della magistratura. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti è consapevole che quegli impegni vanno onorati, anche per rispettare la memoria di Pippo Fava. Ma è altrettanto consapevole che sarebbe sommamente ingiusto che siano costretti a farlo quanti collaborarono con il collega assassinato dalla mafia il 5 gennaio 1984, spesso ricevendo la sola – gratificante – ricompensa di aver adempiuto ad un dovere sociale. Pippo Fava scriveva: “Io ho un concetto etico del giornalismo. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, impone ai politici il buon governo. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni e le violenze che non è mai stato capace di combattere”. Il Consiglio nazionale invita tutti i colleghi a rispondere con generosità all’appello che è condiviso, tra altri, dall’Ordine dei giornalisti, dalla Fnsi, da Libera e dalle principali associazioni di impegno civile. E’ un modo per onorare la memoria di Pippo Fava e per testimoniare gratitudine ai colleghi protagonisti di quella stagione.
Sottoscrizione Fondazione Giuseppe Fava
Dopo l’assassinio mafioso di Giuseppe Fava, il 5 gennaio 1984, i redattori de I Siciliani scelsero di non sbandarsi, di tenere aperto il giornale e di portare avanti per molti anni la cooperativa giornalistica fondata dal loro direttore, affrontando un tempo di sacrifici durissimi in nome della lotta alla mafia e della libera informazione. Anni di rischi personali, di stipendi (mai) pagati, di concreta solitudine istituzionale (non una pagina di pubblicità per cinque anni!). Oggi, a un quarto di secolo dalla morte di Fava, alcuni di loro rischiano di perdere le loro case per il puntiglio di una sentenza di fallimento che si presenta – venticinque anni dopo – a reclamare il dovuto sui poveri debiti della cooperativa. Il precetto di pignoramento è stato già notificato, senza curarsi d’attendere nemmeno la sentenza d’appello. Per paradosso, il creditore principale, l’Ircac, è un ente regionale “in sonno” da anni. E’ chiaro che non si tratta di vicende personali: la redazione de I Siciliani in quegli anni rappresentò molto di più che se stessa, in un contesto estremamente difficile e rischioso. Da soli, quei giovani giornalisti diedero voce udibile e forte alla Sicilia onesta, alle decine di migliaia di siciliani che non si rassegnavano a convivere con la mafia. Il loro torto fu quello di non dar spazio al dolore per la morte del direttore, di non chiudere il giornale, di non accettare facili e comodi ripieghi professionali ma di andare avanti. Quel torto di coerenza, per il tribunale fallimentare vale oggi quasi centomila euro, tra interessi, more e spese. Centomila euro che la giustizia catanese, con imbarazzante ostinazione, pretende adesso di incassare per mano degli ufficiali giudiziari. Ci saranno momenti e luoghi per approfondire questa vicenda, per scrutarne ragioni e meccanismi che a noi sfuggono. Adesso c’è da salvare le nostre case: già pignorate. Una di queste, per la cronaca, è quella in cui nacque Giuseppe Fava e che adesso, ereditata dai figli, è già finita sotto i sigilli. Un modo per affiancare al prezzo della morte anche quello della beffa. La Fondazione Giuseppe Fava ha aperto un conto corrente e una sottoscrizione: vi chiediamo di darci il vostro contribuito e di far girare questa richiesta. Altrimenti sarà un’altra malinconica vittoria della mafia su chi i mafiosi e i loro amici ha continuato a combatterli per un quarto di secolo”.
C.c. della "Fondazione Giuseppe Fava"
IBAN: IT22A0301926122000000557524