Franco Abruzzo.it – (Repubblica.it) – di MAURO MUNAFO’
PUO’ essere interpretato come il segnale definitivo dell’importanza di internet per la libertà di espressione. Per la prima volta i giornalisti online hanno superato i colleghi della carta stampata e degli altri media nella triste classifica del numero di arresti. Secondo l’annuale studio del Committee to Protect Journalists, organizzazione no profit che difende il diritto di informazione, ci sono attualmente 125 giornalisti in prigione in 29 diversi stati del mondo, e ben 56 di questi lavoravano su testate online o alla redazione di blog personali.
“Il giornalismo online – dichiara il direttore esecutivo del Cpj Joel Simon – ha cambiato il paesaggio dei media e il modo di comunicare con gli altri. Ma il potere e l’influenza della nuova generazione di giornalisti online ha catturato l’attenzione dei regimi repressivi di tutto il mondo che hanno accelerato il contrattacco”.
I numeri raccolti dal Cpj parlano chiaro: dopo anni in cui era la carta stampata la principale portavoce della stampa libera nel mondo, i nuovi media hanno compiuto il sorpasso, anche grazie alla minore necessità di investimenti (si parla spesso di freelance e non di dipendenti di aziende editoriali) e alla difficoltà di essere controllati. Lo stesso rapporto riconosce inoltre come non sia stata applicata una rigida definizione di “giornalismo online”, ma si sia provveduto a verificare quanto il lavoro di blogger e scrittori fosse di natura giornalistica, cioè basato sul racconto e l’analisi di fatti reali.
“L’immagine del blogger solitario che lavora a casa in pigiama può essere affascinante – continua Simon – ma quando le autorità bussano alla porta, essi sono soli e vulnerabili. Il futuro del giornalismo è online e adesso siamo in guerra contro i nemici della libertà di stampa che usano le prigioni per definire i limiti del dibattito pubblico”. Dopo i blogger e i giornalisti online, i più perseguitati risultano i professionisti della carta stampata (42% di arresti) mentre televisione, radio e documentari seguono rispettivamente con il 6, il 4 e il 3%.
Se si registrano novità rilevanti per la tipologia dei media colpiti, non altrettanto si può dire per i paesi dove il bavaglio alla libera stampa risulta più soffocante. Per il decimo anno di fila il primo posto spetta alla Cina, che ospita nelle sue carceri ben 28 giornalisti, 24 dei quali lavoravano su testate online. I numeri dimostrano come le pressioni sul regime di Pechino in occasione delle Olimpiadi non abbiano avuto effetto, visto che nel rapporto del 2007 risultavano esserci 29 giornalisti in stato di arresto, solo uno in più di oggi. Tra i casi più rilevanti nel paese asiatico, che da solo ha imprigionato quasi la metà dei giornalisti online del mondo, c’è la storia di Hu Jia, freelance condannato a tre anni e mezzo di reclusione per alcune interviste rilasciate ai media stranieri molto critiche nei confronti del Partito Comunista Cinese.
A poca distanza dalla Cina c’è Cuba con 21 arrestati (erano 24 nel 2007). Chiude il podio la Birmania con 14 imprigionati. Proprio il paese del sud-est asiatico ha raddoppiato in un anno le cifre, procedendo contro alcuni professionisti responsabili di aver diffuso notizie e immagini degli effetti del ciclone Nargis sul paese. Nessun sostanziale cambiamento neppure nelle accuse avanzate: per il 59% dei giornalisti il reato è la violazione di segreto di Stato o l’attività anti patriottica, ma per il 13% degli accusati non viene avanzata alcuna accusa formale, costringendoli a rimanere in carcere per lunghi periodi senza un processo. Unica nota positiva nel rapporto, il numero complessivo di giornalisti in prigione, in calo per il secondo anno consecutivo e passato dai 134 del 2006 agli attuali 125.
(6 dicembre 2008)