L’obbligo di una laurea, almeno triennale, per i giornalisti professionisti, e quello di passare un esame di cultura generale, che attesti anche la conoscenza dei principi di deontologia professionale, per gli aspiranti pubblicisti.
Sono fra i punti della Riforma dell’Ordine dei giornalisti, approvata oggi alla Commissione Cultura della Camera, che ha deliberato in sede legislativa, con un solo astenuto (il deputato Renato Farina del Pdl). Unanime la soddisfazione in Commissione e da parte di Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine, che però auspica (insieme a molti in Commissione) in Senato vengano recuperate la parti cancellate dalla proposta, come «la commissione deontologica e il giurì per la correttezza dell’informazione». Per Giancarlo Mazzuca (Pdl), relatore della riforma, «non si poteva andare avanti con regole vecchie di 50 anni, varate con la legge Gonella del 1963. Questa è una soluzione provvisoria, serve a snellire e modernizzare l’Ordine a dargli più senso e efficienza, più regole nell’accesso alla professione». Tuttavia «mi sarebbe piaciuto portare avanti – aggiunge – anche la parte sul giurì, ma c’è stato lo stop del governo. Spero di riprenderla in futuro». Per il presidente dell’Ordine Iacopino i vari aspetti della riforma, tra i quali anche l’introduzione di un numero massimo dei membri del Consiglio (fissato in 90 contro gli attuali 150 in progressiva crescita dati gli automatismi attualmente vigenti) «contribuiranno alla crescita di qualità dell’informazione e, al tempo stesso, ad una maggiore consapevolezza dei doveri nei confronti dei cittadini». Restano tuttavia «qualche amarezza e un profondo disagio» per la cancellazione di alcune parti come quella sul giurì e per «l’introduzione di un rapporto tra professionisti e pubblicisti che penalizza fortemente i secondi». È importante secondo Franco Siddi, segretario generale della Federazione Nazionale Stampa Italiana «il fatto che la riforma sia stata approvata in modo pressochè unanime. Offre un’indicazione precisa anche a quanti a livello politico e in settori del governo, in questi mesi hanno avuto mere tentazioni abrograzioniste». Vincenzo Vita, vicepresidente della commissione Cultura al Senato e componente della commissione di Vigilanza Rai, giudica quello della riforma «un buon testo che richiede ovviamente qualche ulteriore approfondimento e alcune modifiche». Pino Pisicchio (Api), primo firmatario della riforma, spiega che la parte mancante sul giurì, «avrebbe permesso di affidare certi percorsi sul rapporto tra lettore e giustizia a una diversa giurisdizione. Il governo ha ritenuto che questo comportasse degli oneri, anche se noi non li abbiamo visti, e quindi ne ha chiesto lo scorporo. Spero al Senato si possa recuperare». Anche Giuseppe Giulietti, del gruppo Misto e membro della Commissione Cultura della Camera è deluso per l’assenza del giurì «che avrebbe permesso di agire per la difesa soprattutto dei senza reddito e dei senza potere». Per il deputato Pdl Giuseppe Scalera, autore della dichiarazione di voto per la maggioranza «in un momento estremamente delicato per la stampa italiana, solcato costantemente da forti richiami ai principi deontologici si avvertiva chiara l’esigenza di un adeguamento normativo». Unico ad astenersi il deputato Renato Farina del Pdl, ex vicedirettore di Libero: "Ritengo l’Ordine una struttura obsoleta – ha spiegato all’ANSA -. Bisognerebbe adeguarsi a modelli come quello francese dove esiste la Carta del giornalista, assegnata solo dopo un controllo sulla professionalità. Lo Stato non c’entra affatto". (fonte ANSA e Franco Abruzzo.it)