Il contratto di cessione di diritti d’autore è una delle tipologie contrattuali con cui a volte vengono regolate le collaborazioni giornalistiche ed editoriali.
Non sempre però i contratti di cessione del diritto d’autore vengono instaurati correttamente da parte delle aziende, editoriali e non. “Il ricorso a questa forma contrattuale è infatti illegittima e maschera un’elusione contributiva quando si è in presenza di collaborazioni giornalistiche autonome, che avrebbero invece l’obbligo di iscrizione all’INPGI2”, afferma l’Ente. La cessione del diritto d’autore è infatti legata all’aspetto creativo dell’opera letteraria che, in quanto tale, deve durare nel tempo. Il Ministero negli anni passati ha invitato l’Inpgi a determinare dei parametri con cui identificare i casi in cui configurare, come cessione di diritto d’autore, un servizio giornalistico. Innanzitutto, l’articolo deve avere determinate caratteristiche, in primis legate alla riproducibilità, ma anche alla possibilità di sfruttarne economicamente il contenuto a distanza di molto tempo. “Tutto ciò che è legato all’attualità (articolo di cronaca o commento politico) e che esaurisce la sua funzione informativa con la prima pubblicazione, non può rientrare nella cessione del diritto d’autore”, spiega ancora INPGI. Quindi, se il giornalista ricorre più volte all’uso di tale strumento, e non in modo occasionale, le prestazioni assumono carattere professionale e lavorativo. In questo modo – fermo restando l’eventuale riconducibilità della fattispecie ad una tipologia diversa di lavoro, come quello dipendente o parasubordinato – scatta comunque, per i giornalisti interessati, l’obbligo di denuncia del relativo reddito professionale e del pagamento dei contributi all’Inpgi2 e, contestualmente, l’obbligo del cliente/committente di liquidare la quota contributiva a proprio carico (2%). (E.G. per NL)