Giornalisti free lance: liberi di morire di fame

Il 90% dei giornalisti autonomi guadagna meno di tremila euro lordi al mese. Una sola nota positiva: diminuiscono subordinati e parasubordinati


Il giornalista free lance è una figura che sta prendendo piede, sta istituzionalizzandosi, negli ultimi anni. Si tratta, in pratica, di collaboratori retribuiti di quotidiani, settimanali, organi d’informazione in generale, che lavorano per i suddetti, pur senza farne parte direttamente: sono autonomi, collaborano con le redazioni dall’esterno. I free lance, in Italia, sono circa 12mila e la loro scelta è motivata dalla volontà di sfuggire agli orari, alla monotonia della vita redazionale, ma anche dalla scarsa fiducia che essi nutrono nei confronti degli editori, cosa che li spinge a cercare sempre e comunque la massima autonomia, di pensiero prima ancora che di lavoro. Tra di loro, solo il 10% percepisce più di tremila euro lordi mensili, una piccolissima cerchia, confrontata con il restante 90% che per arrivare a fine mese ha bisogno di veri e propri salti mortali: tra questi, il 20% guadagna tra i 2.500 e i 3.000 euro lordi, il 12% tra i 1.800 e i 2.500, il 18% tra i 1.200 e i 1.800, addirittura il 22% tra i 600 e i 1.200, ed il restante 18% meno di 600 euro. Il gruppo più folto, quindi, percepisce un salario che si aggira sui mille euro mensili: meno male che l’età media è molto bassa, figurarsi mantenere una famiglia con mille euro il mese: una pazzia. L’età media, in particolare, si concentra nell’intervallo 25-45 anni, con una prevalenza di giovani tra i 25 e i 35. In generale, poi, le donne sono la maggioranza (58%), seppur di poco, e rappresentano la fascia più erudita dei giornalisti free lance (62% di laureate contro il 47% di laureati). C’è, poi, una nota positiva, che però racchiude, al suo interno, un aspetto che poi così positivo non è: nell’esercito dei 12mila, l’80,9% svolge un lavoro autonomo, con tanto di partita Iva (cinque anni fa erano solo il 48,8%), a fronte di un 11,1% di para-subordinati (co.co.co.) e di un 7,9% di subordinati, lavoratori a tempo determinato (erano il 30,2% nel 2002!). Questo dato, sostanzialmente positivo, cela in realtà un rovescio della medaglia un po’ meno confortante: tale genere di professione (il free lance) si sta istituzionalizzando sempre di più, segno della sempre crescente precarietà che caratterizza il mestiere del giornalista e della sempre minor propensione di quest’ultimo ad assoldarsi ai poteri forti, rappresentati dagli editori: meglio averci solo rapporti occasionali, sono più rischiosi, certo, ma la dignità non ha prezzo. (Giuseppe Colucci per NL)

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