La Cassazione in una recente sentenza (n. 10252/14) è stata chiamata ad esprimersi in merito ad una richiesta di risarcimento danno avanzata da un avvocato relativamente ad un articolo che lo riguardava ritenuto diffamatorio.
Due importanti profili, anche sul piano pratico, sono stati esaminati, ovvero, il confine tra diritto di cronaca e diritto di critica e la responsabilità del direttore del giornale sul quale viene pubblicato l’articolo diffamatorio -che, è opportuno chiarire, nel caso in esame riportava fatti e notizie veri, inducendo però il lettore a conclusioni denigratorie a carico del legale-. Ebbene, quanto al primo aspetto, era stato censurato il fatto che la costruzione dei collegamenti logici e delle interpretazioni dei fatti costituiva per un giornalista legittimo esercizio del diritto di critica e, pertanto, la frase incriminata non aveva valenza di notizia, ma costituiva un legittimo apprezzamento critico. Nondimeno, secondo la Corte di legittimità, tale articolo, inserito nello spazio di cronaca estera, era fuori contesto ed effettuato allo scopo ingiustificato di creare un collegamento screditante tra i fatti riferiti e la persona dell’avvocato. Partendo dal presupposto che il giornalista avesse redatto un articolo di cronaca, e che di diritto di cronaca giornalistica occorresse parlare e non di esercizio del diritto di critica, la Cassazione ha ritenuto che, al di là della verità della notizia, alcuni fatti, in sé veri, erano stati accostati allo scopo di costruire una illazione diffamatoria, e non ha quindi riconosciuto alcuna scriminante in capo all’autore dell’articolo. Quanto al secondo profilo, secondo la Cassazione, la responsabilità del direttore del giornale per i danni conseguenti alla diffamazione a mezzo stampa, ad esclusione dei casi più remoti di dolo, trova fondamento nella sua posizione di preminenza che gli impone una serie di doveri di controllo sia preventivi che successivi, nell’ambito dei quali fanno parte non solo la verifica della verità dei fatti o la attendibilità delle fonti, ma anche la verifica più delicata e più legata alla conoscenza dell’idoneità evocativa delle parole che deve avere un direttore di giornale volta a riscontrare se alcuni fatti esposti, in sè veri, non siano tali, per il loro utilizzo fuori contesto, o per la suggestione ed i collegamenti impliciti che l’espressione giornalistica deliberatamente utilizzata è idonea a creare nel lettore, ad essere in concreto diffamatori. La Cassazione ha così espresso il relativo principio di diritto: “In tema di diffamazione a mezzo di stampa, il controllo spettante al direttore responsabile non può esaurirsi in una mera «presa d’atto», ma deve necessariamente riguardare il contenuto degli articoli da pubblicare e l’assunzione di iniziative volte a elidere eventuali profili penalmente rilevanti o, si può aggiungere, rilevanti sotto il profilo della responsabilità civile”. (D.G. per NL)