Ordine dei Giornalisti della Lombardia
Milano, 20 novembre 2006. Il Consiglio dell’Ordine della Lombardia ha inflitto la sanzione della censura al giornalista professionista Carlo Verdelli, direttore responsabile della “Gazzetta dello Sport” per un caso di commistione pubblicità/informazione realizzato il 24 maggio 2006 con la pubblicazione di un inserto dedicato a Sky. L’articolo 53 legge n. 69/1963 dice: “La censura, da infliggersi nei casi di abusi o mancanze di grave entità, consiste nel biasimo formale per la trasgressione accertata”. In particolare Carlo Verdelli :
a) ha violato l’obbligo di esercitare con dignità e decoro la professione (articolo 48 della legge 69/1963 sull’ordinamento della professione di giornalista), assoggettando la sua libertà di cronaca e di critica a interessi esterni (con violazione del comma 2 dell’articolo 21 della Costituzione);
b) ha violato il principio dell’autonomia professionale (affermato dall’articolo 1, comma 3, del Cnlg 2001/2005) e non ha garantito l’autonomia della testata (art. 6 del Cnlg), venendo così meno al dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori (articolo 2 della legge 69/1963);
c) non ha rispettato la sua reputazione e la dignità dell’Ordine professionale (articolo 48 della legge professionale 69/1963).
d) ha violato, come detto, l’articolo 44 del Cnlg e la “Carta dei doveri” (paragrafo dedicato a “Informazione e pubblicità”), che pongono vincoli insuperabili al dovere e all’obbligo giuridico di tenere distinti informazione e pubblicità;
La presente deliberazione è «di immediata efficacia in quanto atto di natura amministrativa» (Cass., sez. un. civ., sentenza n. 9288/1994). (Si veda anche parere dell’Ufficio VII della Direzione generale Affari civili e libere professioni del Ministero di Giustizia 27 febbraio 1998; prot. 7/36004002/F007/744/U).
1. Fatti. L’avviso disciplinare del 26 maggio 2006. L’apertura del procedimento disciplinare (9 ottobre 2006).
La segreteria di questo Consiglio ha acquisito la copia della Gazzetta dello Sport del 24 maggio 2006 nonché una nota apparsa su Tgcom dello stesso giorno (dal titolo “La Gazzetta e lo “strano” inserto. I mondiali, Sky e la coerenza”). Da questa documentazione emerge, non solo in linea di ipotesi, un caso di commistione tra pubblicità e informazione (il riferimento è all’inserto delle pagine I-IV della “Gazzetta dello Sport” ). Questo il testo integrale della nota di Tgcom:
“L’Italia è proprio un bel paese. Un paese dove la coerenza è una parola sulla bocca di tutti e nel vocabolario di nessuno. Prendete per esempio la Gazzetta dello Sport di mercoledì 24 maggio. Bello l’editoriale del direttore Carlo Verdelli, che spende dure parole per castigare Moggiopoli. Ci spiega come funzionasse la ragnatela di contatti e di come i poteri forti permettessero al popolare Luciano di mantenere il suo dominio. E sapete perché? Perché anche Milan e Inter alla fin fine facevano finta di niente: l’importante era spartirsi la torta dei diritti televisivi.
Belle parole, concetti tutto sommato condivisibili e condivisi dal frastornato pubblico che cerca di trovare una luce nel buio che ha avvolto il calcio. Peccato che poi, sfogliando la rosa, si arrivi esattamente a metà. Pagina 18: si comincia a parlare di mondiali giocati. Nesta dice la sua, la nazionale fa il pieno di sponsor. Nella pagina accanto comincia uno speciale intitolato “Tv mondiale”. Anche il lettore più distratto noterà che qualcosa non quadra: le quattro pagine che compongono questo speciale, che si scoprirà essere un inserto solo dopo averlo percorso tutto, avrebbero dovuto intitolarsi “speciale Sky”. Perché se la firma Vincenzo Cito ci parla di Nicolò Carosio, il resto è un florilegio che spazia dai numeri del mondiale (64 le partite trasmesse da Sky – 39 le partite in diretta esclusiva di Sky – 150 i giornalisti di Sky etc etc) all’intervista a Fabio Caressa, fino al titolo favoloso di pagina due: Sky ha tutto, perché perderselo?.
Niente di male se il lettore fosse avvisato che quello che sta leggendo è pubblicità, niente di più, niente di meno. Peccato che da nessuna parte appaia l’avvertenza: “Ehi lettore, occhio che queste sono pagine pubbli-redazionali: cioè, noi scriviamo degli articoli ma questo inserto se lo paga Sky e quindi è ovvio che le facciamo pubblicità”. Come non bastasse, dopo aver ampiamente ricordato i benefici della parabola, si passano velocemente in rassegna i palinsesti delle care, vecchie tv no-pay. Con una pioggia di errori. Il palinsesto di Mediaset è decisamente sbagliato, con affermazioni sugli highlights del tutto inventate. Ma ancora peggio la Gazzetta fa con la Rai che trasmetterà “solo” 25 partite. Peccato che siano le più importanti, compresi tutti gli incontri della nazionale. E, diciamocelo, anche se la televisione di Stato non trasmette Costa Rica-Polonia, Australia-Giappone o Paraguay-Trinidad Tobago direi che possia mo perdonarla.
Lo speciale pubblicitario si conclude poi con un grande sondaggio di Marco Pasotto su chi vincerà i mondiali: indovinate un po’ chi sono gli intervistati? Senza scomodarvi ve lo diciamo noi: gli opinionisti di Sky. Ma è sotto il sondaggio che casca l’asino, la coerenza e le parole di Verdelli sui poteri forti, sulle pay tv, sui soldi dei diritti e a chi fanno gola assumono una luce tutta nuova. Una bella pubblicità nella pubblicità ci informa che è possibile vivere il mondiale in 3 mosse con la straordinaria offerta Sky-Gazzetta. Guardi Sky, leggi gratis la Gazzetta. Oplà, il gioco di prestigio è riuscito. Il lettore si è pappato quattro pagine di promozione a pagamento credendole parte del giornale. E non ci vengano a dire che il numeretto romano sulle pagine, invisibile, fa “chiaramente” capire di essere di fronte ad un inserto. L’inserto non si fascicola in mezzo al giornale, lo si rende distinguibile dal resto. Le pubblic ità non si spacciano per notizie, soprattutto su di un giornale autorevole come la Gazzetta. Questione di coerenza, caro direttore”.
La grafica dell’inserto è identica a quella utilizzata nelle altre pagine del quotidiano: il che accentua la commistione, rendendo ingannevole l’intero inserto.
Carlo Verdelli non ha fornito gli opportuni chiarimenti richiesti con l’avviso disciplinare del 26 maggio 2006 (parte integrante di questo atto amministrativo). Nell’avviso si ipotizzava la violazione degli articoli 2 e 48 della legge 69/1963 sull’ordinamento della professione di giornalista; degli articoli 6 e 44 del Cnlg Fnsi/Fieg; del paragrafo “informazione e pubblicità” della Carta dei doveri dell’8 luglio 1993
Su queste basi, il Consiglio, nella seduta del 9 ottobre 2006, ha deliberato l’apertura del procedimento disciplinare. In quella occasione il Consiglio sottolineò che l’iniziativa “non comporta, neppure implicitamente, alcuna pronuncia di colpevolezza, ma costituisce mero atto preliminare alla valutazione dei fatti da parte del Consiglio, tenuto ad esercitare il potere disciplinare ex art. 2229 del Codice civile ed art. 1 (V comma) della legge n. 69/1963 (Cass. sez. un. civili 25 ottobre 1979 n. 5573)”.
2. Conclusioni e decisione.
Le quattro pagine dedicate il 24 maggio 2006 dalla “Gazzetta dello Sport” all’inserzionista Sky appaiono, come sono, un “contenitore pubblicitario”. Queste scelte normalmente vengono gestite dagli uffici Marketing delle aziende editrici di concerto con il vertice della testata. Carlo Verdelli era direttore del giornale da tre mesi, quando il “contenitore” è stato pubblicato. L’Ufficio marketing Rcs non è nuovo nel seguire tali impostazioni (si veda la delibera 19 gennaio 2004 riguardante il “Corriere della Sera””, testata gemella della “Gazzetta dello Sport”, in www.odg.mi.it/docview.asp?DID=682 e in Tabloid n. 2/2004 ). La tesi difensiva (“Verdelli era in una fase di apprendistato”) non ha convinto il Consiglio. Il direttore deve vigilare su quel che appare nel giornale affidato alla sua responsabilità. Non convince neppure il discorso relativo alla mancanza di proteste da parte dei lettori; semmai questa affermazione è una accusa: la commistione era talmente sofisticata da ingannare i lettori. Ai lettori è stato nascosto un particolare importante: l’inserto era stato pagato dal committente Sky. Il Consiglio, comunque, è giudice dei comportamenti dei giornalisti, non dei lettori. I dissidi Galliani-Gazzetta dello Sport sono fuori dal contesto valutato dal Consiglio.
Carlo Verdelli e la sua difesa non contestano la responsabilità di quanto è accaduto: “Se è vero, come sostenuto, che tale percezione sarebbe derivata dalla pubblicità riguardante la promozione “Vivi il mondiale in 3 mosse”, apparsa appunto nell’ultima pagine, allora ciò era possibile fin dalla prima pagina, dove la stessa pubblicità appare altrettanto evidente: è nella prima pagina che la promozione “abbonati a Sky e leggi gratis la Gazzetta dello Sport” appare per la prima volta. Altri segni distintivi ed evidenti per chiunque legga “La Gazzetta dello Sport” consentono di comprendere la natura promozionale – ma non solo – dell’inserto”. Lo stesso Verdelli lealmente ammette davanti al Consiglio: “Sì, può dare luogo ad equivoci. In realtà le cose che ricordava adesso Abruzzo sono vere nel senso che manca la dicitura ‘Inserzione pubblicitaria’ “. Il legale ha aggiunto: “Il direttore molto correttamente si è assunto la responsabilità di questa operazione, però è un’operazione che nasce prima di Carlo Verdelli, cioè il marketing e questa cosa qui erano già decisi mesi prima quindi lui l’ha vista forse neanche il giorno in cui è uscito il giornale. Cioè, quando è arrivato l’avviso disciplinare ha preso il numero e ha scoperto che c’era questo inserto, il che non vuol dire assolutamente, per carità, sottrarsi alla responsabilità ma chiedere al Consiglio di valutare in maniera compiuta la situazione globale in cui questo inserto sia andato a collocarsi”.
Alcuni testi e titoli sono in perfetta sintonia con l’intento promozionale dell’inserto come si deduce dall’articolo di Tgcom: “Perché se la firma Vincenzo Cito ci parla di Nicolò Carosio, il resto è un florilegio che spazia dai numeri del mondiale (64 le partite trasmesse da Sky – 39 le partite in diretta esclusiva di Sky – 150 i giornalisti di Sky etc etc) all’intervista a Fabio Caressa, fino al titolo favoloso di pagina due: Sky ha tutto, perché perderselo?”. La nota critica di Tgcom (non contestata da Verdelli) prosegue così: “Come non bastasse, dopo aver ampiamente ricordato i benefici della parabola, si passano velocemente in rassegna i palinsesti delle care, vecchie tv no-pay. Con una pioggia di errori. Il palinsesto di Mediaset è decisamente sbagliato, con affermazioni sugli highlights del tutto inventate. Ma ancora peggio la Gazzetta fa con la Rai che trasmetterà “solo” 25 partite. Peccato che siano le più importanti, compresi tutti gli incontri della nazionale. E, diciamocelo, anche se la televisione di Stato non trasmette Costa Rica-Polonia, Australia-Giappone o Paraguay-Trinidad Tobago direi che possiamo perdonarla. Lo speciale pubblicitario si conclude poi con un grande sondaggio di Marco Pasotto su chi vincerà i mondiali: indovinate un po’ chi sono gli intervistati? Senza scomodarvi ve lo diciamo noi: gli opinionisti di Sky. Ma è sotto il sondaggio che casca l’asino, la coerenza e le parole di Verdelli sui poteri forti, sulle pay tv, sui soldi dei diritti e a chi fanno gola assumono una luce tutta nuova. Una bella pubblicità nella pubblicità ci informa che è possibile vivere il mondiale in 3 mosse con la straordinaria offerta Sky -Gazzetta. Guardi Sky, leggi gratis la Gazzetta. Oplà, il gioco di prestigio è riuscito. Il lettore si è pappato quattro pagine di promozione a pagamento credendole parte del giornale. E non ci vengano a dire che il numeretto romano sulle pagine, invisibile, fa “chiaramente” capire di essere di fronte ad un inserto. L’inserto non si fascicola in mezzo al giornale, lo si rende distinguibile dal resto. Le pubblicità non si spacciano per notizie, soprattutto su di un giornale autorevole come la Gazzetta”.
Il Consiglio afferma che il comportamento tenuto dal giornalista professionista Carlo Verdelli presenta indubbi profili di illiceità, in quanto contrario agli articoli 2 e 48 della legge 3 febbraio 1963 n. 69, alla Carta dei doveri dei giornalisti e all’articolo 44 del Contratto collettivo nazionale dei giornalisti. Recita la Carta dei doveri: “I cittadini hanno il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario e non lesiva degli interessi dei singoli”. Proclama l’articolo 44: “Allo scopo di tutelare il diritto del pubblico a ricevere una corretta informazione, distinta e distinguibile dal messaggio pubblicitario e non lesiva degli interessi dei singoli, i messaggi pubblicitari devono essere chiaramente individuabili come tali e quindi distinti, anche attraverso apposita indicazione, dai testi giornalistici”. D’altro lato è ormai pacifico che “commette illecito disciplinare il direttore che avalli copertine o articoli pubblicitari” (Trib. Milano, 11 febbraio 1999 Parti in causa Monti c. Consiglio reg. ord. giornalisti Lombardia; Riviste: Foro It., 1999, I, 3083 Rif. legislativi: L 3 febbraio 1963 n. 69, art. 2; L 3 febbraio 1963 n. 69, art. 48). Ha scritto la Suprema Corte (Cassazione Sezione Terza Civile n. 22535 del 20 ottobre 2006, Pres. Preden, Rel. Durante) sul punto: “L’obbligo del direttore del giornale di garantire la correttezza e la qualità dell’informazione anche per quanto concerne il rapporto fra testo e p ubblicità deriva dagli artt. 44 CCNL giornalisti e 4 D. Lgs. 74/1992; il contenuto dell’obbligo è di rendere la pubblicità chiaramente riconoscibile come tale mediante l’adozione di modalità grafiche di evidente percezione; lo scopo è di tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali. La fascia dei soggetti tutelati si estende a tutti i lettori senza alcuna distinzione in base al grado di cultura; può, in sostanza, affermarsi che il direttore di giornale deve garantire la correttezza e la qualità dell’informazione; a questo fine è tenuto a verificare se la pubblicità sia chiaramente riconoscibile come tale, distinguendosi da ogni altra forma di comunicazione al pubblico mediante modalità grafiche facilmente riconoscibili; in tale verifica non rileva il grado di cultura dei lettori, essendo a tutti accordata tutela; ove la verifica conduca a risultati negativi, il direttore deve impedire la pubblicazione del testo contenente la pubblicità, incorrendo alt rimenti nelle sanzioni comminate dalla legge n. 69/1963”.
Il Consiglio ha affermato in diverse delibere che esiste una strategia precisa degli editori secondo la quale la pubblicità deve presentarsi come informazione e/o frammista all’informazione. Si punta a collocare il messaggio pubblicitario in maniera sempre più diretta all’interno dell’informazione. Questa strategia finisce per inquinare la figura del giornalista professionista. La nuova frontiera della pubblicità, che sta invadendo l’informazione, mette in discussione l’autonomia professionale del giornalista con ricadute lesive sull’immagine del giornalista, dell’Ordine e della profession e. Il Consiglio è convinto, come ha già scritto, che “La commistione pubblicità/informazione appare una risposta miope e sbagliata da parte degli editori, che non si pongono il problema di difendere anche l’immagine della testata, della professione giornalistica e dei loro redattori. Nessuno avversa la pubblicità, ma la si vuole soltanto corretta”.