La questione che nel corso degli anni non a resistito al vaglio dei giudici della Corte di Cassazione, ha come oggetto la regola-ponte sancita dall’art 36 del Cnlg, ovvero il riconoscimento ex tunc della pratica da giornalista professionista per il pubblicista che abbia regolato il rapporto di lavoro con trattamento contrattuale riservato ai professionisti.
La prassi consolidata fin dagli anni Settanta in seno al Consiglio Nazionale dell’Ordine, ha in questa circostanza rinvenuto la premessa di una sorta di pratica professionale “alternativa” a quella canonizzata dalla legge 3 febbraio 1963 n. 69. La relativa costruzione sistematica, consentirebbe a posteriori – e fin dal momento del perfezionamento dell’accordo lavorativo – di maturare il tirocinio in forza di un’iscrizione retrodatata nell’apposito registro. I Giudici di legittimità, intervenuti sul punto più volte fin dal 2002, rigettano le domande tese ad un simile riconoscimento, disapplicando sostanzialmente la norma contrattuale sopra richiamata perché contraria alla citata legge sull’Ordinamento della professione di giornalista. La sentenza apripista è la 7661 del 21/05/2002 che, nella successiva giurisprudenza, è stata presa come modello risolutivo per divergenze interpretative statuite dai giudici di merito. Il ragionamento della Suprema Corte, muove le proprie considerazioni dalla constatata invalidità di un rapporto di lavoro instaurato, alla stregua del Cnlg, tra un’impresa editoriale ed un giornalista pubblicista. Il trattamento tipizzato, chiosano i collegi aditi, può essere applicato esclusivamente ai professionisti, ovvero soggetti abilitati in seguito al sostenimento dell’apposito esame, previo svolgimento della prevista pratica professionale (cfr. artt. 33 e ss. l. 69/1963). In sostanza, se ne deduce che requisito essenziale per l’instaurazione di un valido rapporto contrattuale da giornalista sia l’aver preventivamente seguito l’iter richiesto per lo svolgimento della professione. Conseguentemente, al pubblicista non può essere concessa – per il semplice effetto di una delibera del competente Consiglio Regionale dell’Ordine – una retroattiva iscrizione nel registro dei praticanti a far data dalla costituzione del rapporto lavorativo, anche se regolato dall’accordo nazionale di categoria. Cercando di chiarire meglio sul punto, un contratto del genere è affetto da nullità per carenza di un requisito essenziale (lo status di giornalista professionista del lavoratore , appunto) e, ancorché non illecito nell’oggetto o nella causa, è invalido ai sensi dell’art. 2126 c.c. (cfr., per tutte, Cass. civ. sez. lavoro, 06/03/2006, n. 4770 in www.francoabruzzo.it). Così ragionando, il giudice di terza istanza mantiene indenni retribuzione e crediti previdenziali che risultano comunque dovuti per il periodo di effettivo svolgimento del rapporto. Di fronte ad un simile orientamento, difficilmente sopravvivrebbe al vaglio giudiziale ogni azzardo degli Ordini professionali che si discostasse da questo filone interpretativo. Nonostante tutto, quello che oggi è confermato come acquisito, non lo era necessariamente anche prima e, per cercare di spiegare come l’ipotesi di parificazione tra le due figure di riferimento del giornalismo (nella specificità del caso esaminando) abbia potuto trovare cittadinanza in alcune pronunce emanate dai Consigli dell’Ordine, occorre fare un passo indietro. Fin dagli anni Settanta, è stata elaborata una giurisprudenza artefice della creazione della figura del c.d. “giornalista di fatto”, ovvero colui che può essere validamente iscritto dal Consiglio dell’Ordine – con effetto retroattivo – nel Registro dei praticanti ai fini dell’ammissione al sostenimento dell’esame di idoneità professionale. In questo caso, ci troviamo di fronte ad una particolare circostanza di svolgimento effettivo del tirocinio, anche se non formalizzato da una comunicazione da parte del direttore responsabile: la giurisprudenza di legittimità, con l’intento di sanare questa posizione soggettiva, autorizza il Consiglio dell’Ordine ad intervenire esercitando i suoi poteri sostitutivi per la formale regolarizzazione del tirocinante (cfr. Cass. I sez. civ., 10 maggio 2000, n. 5936 in F. Abruzzo, “I praticanti giornalisti nella legge e nella giurisprudenza”, www.francoabruzzo.it). Nella fattispecie sopra menzionata, però, non si accenna ad alcuna figura professionale diversa dal giornalista professionista. Difatti, ratione materiae, lo status di pubblicista richiamerebbe altri criteri ermeneutici e, la forzata figura del c.d. “redattore di fatto” (in analogia con il “giornalista di fatto”) prenderebbe avvio da presupposti inapplicabili. Insomma, non si può fare di tutta l’erba un fascio e si deve necessariamente considerare la differente connotazione ed il diverso approccio che le due categorie di giornalisti hanno verso la professione: gli uni – professionisti – vincolati al rispetto di regole precise emergenti da uno specifico rapporto sinallagmatico orientato verso il rispetto di un orario nel quale svolgere continuativamente attività redazionale secondo le direttive impartite dal direttore, con in più l’onere di iscriversi per un periodo massimo di tre anni nel registro dei praticanti; gli altri – pubblicisti -debbono mantenere lo status acquisito attraverso collaborazioni di varia guisa con testate giornalistiche, pubblicando un monte articoli annuale dietro adeguata remunerazione. (Stefano Cionini per NL)