“Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità e senza riguardo alla nazionalità” (articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali).
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INDICE
1. Premessa. La Cassazione ha condannato tre giornalisti di www.merateonline.it “colpevoli” di essersi sintonizzati sulle frequenze radio usate dalle forze di polizia. Il diritto dei cronisti alle notizie.
2. Le Dichiarazioni, le Convenzioni, i Patti e le Carte internazionali in tema di diritto a ricevere le informazioni.
3. Gli articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e le sentenze della Corte di Strasburgo vincolanti per gli Stati della Ue.
4. Conclusioni. Ordine ed Fnsi devono avvertire il dovere e l’obbligo di impugnare la sentenza della Cassazione davanti alla Corte di Strasburgo a tutela della libertà dei cronisti di accedere alle fonti di informazione.
di Franco Abruzzo
docente universitario a contratto di “Diritto dell’informazione”
1. Premessa. La Cassazione ha condannato tre giornalisti di www.merateonline.it “colpevoli” di essersi sintonizzati sulle frequenze radio usate dalle forze di polizia. Il diritto dei cronisti alle notizie. La Cassazione ha confermato il 3 giugno la condanna per tre giornalisti del quotidiano telematico www.merateonline.it, che per lavoro si sintonizzavano sulle frequenze delle forze di polizia (in particolare 15 mesi di carcere per il direttore e un redattore, sei mesi per un altro redattore, con i benefici della sospensione e della non menzione). Usare le radioline scanner è reato consacrato da una sentenza emessa in nome del popolo italiano. Le radioline, nei piccoli e grandi giornali, sono compagne fedeli dei cronisti di nera, che riescono ad arrivare tempestivamente “sul posto”, cioè sul luogo di un omicidio o di un incidente. Gli scanner sono sintonizzati su frequenze libere, non criptate. Roberto Saviano nel suo best seller “Gomorra” scriva a pagina 95: “Per seguire la faida ero riuscito a procurarmi una radio capace di sintonizzarsi sulle frequenze della polizia. Arrivavo così con la mia Vespa più o meno in sincrono con le volanti. Ma quella sera mi ero addormentato. Il vociare gracchiante e cadenzato delle centrali per me era diventato una sorta di melodia cullante”. Carabinieri e agenti di polizia non svelano per radio segreti di stato. Per esperienza si può dire che le centrali rilanciano notizie appena “scoppiate” apprese normalmente per telefono e dirottano nei luoghi degli eventi le “gazzelle” e le “pantere” con gli uomini del pronto intervento.
La premessa andava fatta per circoscrivere la condotta dei giornalisti, che usano gli scanner (la mia generazione usava scanner americani “Lafayette”) sul presupposto che i cronisti hanno,comunque, diritto a ricevere le notizie degli eventi. Un dirito solennemente affermato nell’articolo 2 della legge professionale 69/1963: “E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica”. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 1/1981, ha riconosciuto “il rilievo costituzionale della libertà di cronaca (comprensiva della acquisizione delle notizie) e della libertà di informazione quale risvolto passivo della manifestazione del pensiero, nonché il ruolo svolto dalla stampa come strumento essenziale di quelle libertà, che è, a sua volta, cardine del regime di democrazia garantito dalla Costituzione”. La stessa Corte, con la sentenza 105/1972 ha sancito: ”L’interesse generale alla informazione, anch’esso indirettamente protetto dall’art. 21 della Costituzione, implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporali, alla circolazione delle notizie e delle idee”. Questa impostazione costituzionale del diritto dei cronisti a ricevere le notizie e a lavorare come mediatori intellettuali tra i fatti e i cittadini ha una eco solenne nell’articolo 10 della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (che è stata receptita nella legge 848/1955).
2. Le Dichiarazioni, le Convenzioni, i Patti e le Carte internazionali in tema di diritto a ricevere le informazioni. In sostanza il principio che ogni persona abbia il diritto di manifestare liberamente il suo pensiero con ogni mezzo stabilito dal legislatore costituzionale italiano cammina di pari passo con il “diritto alla libertà di espressione” (“diritto che comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità”) sancito dall’articolo 10 della Convenzione. L’articolo 10 della Convenzione, mutuato dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è stato ampliato successivamente dall’articolo 19 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici il quale stabilisce: “…Ogni individuo ha il diritto della libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo a sua scelta”. Queste enunciazioni formano un intreccio di rango costituzionale. Non sfugga la rilevanza dell’inserimento, attraverso leggi ordinarie, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e del Patto di New York relativo ai diritti civili e politici nell’ordinamento giuridico dello Stato: il diritto di “cercare, ricevere e diffondere informazioni attraverso la stampa” figura esplicitamente nel nostro ordinamento e allarga la sfera del “diritto di manifestare il pensiero” tutelata dall’articolo 21 della Costituzione. Si tratta di un crescendo di affermazioni e riconoscimenti che, partendo dalla solenne dichiarazione dell’articolo 21 della nostra Costituzione, passando attraverso le interpretazioni e le applicazioni della legislazione ordinaria e delle sentenze emesse da Corti di giustizia (tra le quali spicca la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo) di ogni ordine e grado, tornano all’articolo 21 citato disegnandone con estrema chiarezza i contenuti anche nei confronti della attività dell’Ordine dei giornalisti il quale “organizza coloro che per professione manifestano il pensiero” (sentenza n. 11/1968 della Corte Costituzionale).
E’ il caso di soffermarsi su quattro documenti internazionali, che dilatano la sfera del diritto di cronaca e che incidono nell’ordinamento giuridico della Repubblica italiana:
A. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea delle Nazioni Unite (assemblea di cui l’Italia fa parte dal 1954), all’articolo 19 afferma: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
B. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con la legge 4 agosto 1955 n. 848) all’articolo 10 (Libertà di espressione) afferma: “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità e senza riguardo alla nazionalità. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l’integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”.
C. Il Patto internazionale di New York sui diritti civili e politici (firmato il 19 dicembre 1966 e ratificato con la legge 25 ottobre 1977 n. 881) all’articolo 19 afferma: “Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo e frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta. L’esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che, però, devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubblica”.
D. La “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” (Consiglio europeo di Nizza, 7-9 dicembre 2000) all’articolo 11 (Libertà di espressione e d’informazione) afferma: “1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono garantiti”.
La “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” rappresenta un meccanismo di protezione internazionale dei diritti dell’uomo particolarmente efficace. Le norme della Convenzione sono di immediata operatività nel nostro Paese: “Le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, salvo quelle il cui contenuto sia da considerarsi così generico da non delineare specie sufficientemente puntualizzate, sono di immediata applicazione nel nostro Paese e vanno concretamente valutate nella loro incidenza sul più ampio complesso normativo che si è venuto a determinare in conseguenza del loro inserimento nell’ordinamento italiano; la ‘precettività’ in Italia delle norme della Convenzione consegue dal principio di adattamento del diritto italiano al diritto internazionale convenzionale per cui ove l’atto o il fatto normativo internazionale contenga il modello di un atto interno completo nei suoi elementi essenziali, tale cioè da poter senz’altro creare obblighi e diritti, l’adozione interna del modello di origine internazionale è automatica (adattamento automatico), ove invece l’atto internazionale non contenga detto modello le situazioni giuridiche interne da esso imposte abbisognano, per realizzarsi, di una specifica attività normativa dello Stato” (Cass., sez. un. pen., 23 novembre 1988; Parti in causa Polo Castro; Riviste: Cass. Pen., 1989, 1418, n. Bazzucchi; Riv. Giur. Polizia Locale, 1990, 59; Riv. internaz. diritti dell’uomo, 1990, 419). Anche la Corte costituzionale (sentenza n. 10 del 19 gennaio 1993) si è pronunciata autorevolmente in tale senso, specificando che la legislazione con cui la Convenzione è entrata in vigore in Italia consiste in una normativa che, pur avendo forza di legge, deriva “da una fonte riconducibile a una competenza atipica” e pertanto risulta “insuscettibile di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria”. Ribadiscono ancora i supremi giudici della prima sezione penale, che si pongono su di una linea di continuità con gli enunciati delle Sezioni unite del 1988: “Le norme della Convenzione europea, in quanto principi generali dell’ordinamento, godono di una particolare forma di resistenza nei confronti della legislazione nazionale posteriore” (Cass. pen., sez. I, 12 maggio 1993; Parti in causa Medrano; Riviste Cass. Pen., 1994, 440, n. Raimondi; Rif. legislativi L 4 agosto 1955 n. 848; Dpr 9 ottobre 1990 n. 309, art. 86). La suprema magistratura civile è dello stesso avviso: “Le norme della convenzione europea sui diritti dell’uomo, nonché quelle del primo protocollo addizionale, introdotte nell’ordinamento italiano con l. 4 agosto 1955 n. 848, non sono dotate di efficacia meramente programmatica. Esse, infatti, impongono agli Stati contraenti, veri e propri obblighi giuridici immediatamente vincolanti, e, una volta introdotte nell’ordinamento statale interno, sono fonte di diritti ed obblighi per tutti i soggetti. E non può dubitarsi del fatto che le norme in questione – introdotte nello ordinamento italiano con la forza di legge propria degli atti contenenti i relativi ordini di esecuzione, non possono ritenersi abrogate da successive disposizioni di legge interna, poiché esse derivano da una fonte riconducibile ad una competenza atipica e, come tali, sono insuscettibili di abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria” (Cass. civ., sez. I, 8 luglio 1998, n. 6672; Riviste: Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario, 1998, 1380, n. Marzanati; Giust. Civ., 1999, I, 498; Rif. legislativi L 4 agosto 1955 n. 848). Anche la giustizia amministrativa ritiene che “la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, resa esecutiva con la l. 4 agosto 1955 n. 848, sia direttamente applicabile nel processo amministrativo” (Tar Lombardia, sez. III, Milano 12 maggio 1997 n. 586; Parti in causa Soc. Florenzia c. Iacp Milano e altro; Riviste Foro Amm., 1997, 1275,, 2804, n. Perfetti; Colzi; Rif. legislativi L 4 agosto 1955 n. 848, artt. 6 e 13 L 4 agosto 1955 n. 848).
La Convenzione deve il suo successo al fatto di fondarsi su un sistema di ricorsi – sia da parte degli Stati contraenti sia da parte degli individui – in grado di assicurare un valido controllo in ordine al rispetto dei principi fissati dalla Convenzione stessa. La Corte europea dei diritti dell’uomo è in sostanza un tribunale internazionale istituito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali al quale può essere proposto ricorso per la violazione di diritti e libertà garantiti dalla Convenzione sia dagli Stati contraenti e sia dai cittadini dei singoli Stati. Prima della entrata in vigore del Protocollo n. 11 (1° novembre 1998) il meccanismo di tutela per la violazione dei diritti garantiti dalla convenzione era assicurata da una Corte omonima e dalla Commissione europea dei diritti dell’uomo (operanti da oltre 40 anni). Tutte le fasi del procedimento sono svolte oggi nell’ambito della nuova Corte unica. Anche le funzioni istruttorie, già attribuite alla Commissione, vengono svolte all’interno della Corte stessa. La nuova istituzione continuerà ad assicurare un doppio grado di giudizio. In prima istanza spetta a una “Camera ristretta” della Corte (formata da 7 giudici) esaminare la ricevibilità del ricorso, esperire i tentativi di conciliazione amichevole e, in ultima analisi, decidere della controversia. Avverso la sentenza della “Camera piccola” potrà essere presentato appello alla “Grande Camera” (formata da 17 giudici). Un’ulteriore differenza rilevante con la vecchia procedura è rilevabile dal fatto che la sentenza della “Camera ristretta” della Corte sarà immediatamente vincolante per le parti, facendo scomparire qualsiasi intervento del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. “Si deve mettere in luce che la Corte nel procedere a valutare l’avvenuta violazione delle norme della Convenzione si basa sul seguente principio direttivo: la misura restrittiva del diritto garantito dalla Convenzione può dirsi necessaria in una società democratica solo quando il sacrificio che essa impone al titolare non sia eccessivo, ossia quando tale sacrificio sia proporzionato all’entità del danno che l’esercizio del diritto stesso arreca, o arrecherebbe, al bene protetto. Ciò in quanto una società può dirsi autenticamente democratica solo quando le limitazioni ai diritti dei propri cittadini sono unicamente quelle strettamente necessarie al raggiungimento dei fini socialmente rilevanti” (Sabrina Peron in Tabloid, n. 1/2000).
3. Gli articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e le sentenze della Corte di Strasburgo vincolanti per gli Stati della Ue. Non solo gli articoli della Convenzione quant’anche le sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo, che della prima è diretta emanazione, sono vincolanti per gli Stati contraenti. “Le Alte Parti contraenti – dice l’articolo 46 della Convenzione – si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono parti”. Va detto anche che gli articoli della Convenzione operano e incidono unitamente alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo ne dà attraverso le sentenze. Le sentenze formano quel diritto vivente al quale i giudici dei vari Stati contraenti sono chiamati ad adeguarsi sul modello della giustizia inglese. “La portata e il significato effettivo delle disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli non possono essere compresi adeguatamente senza far riferimento alla giurisprudenza. La giurisprudenza diviene dunque, come la Corte stessa ha precisato nel caso Irlanda contro Regno Unito (sentenza 18 gennaio 1978, serie A n. 25, § 154) fonte di parametri interpretativi che oltrepassano spesso i limiti del caso concreto e assurgono a criteri di valutazione del rispetto, in seno ai vari sistemi giuridici, degli obblighi derivanti dalla Convenzione….i criteri che hanno guidato la Corte in un dato caso possono trovare e hanno trovato applicazione, mutatis mutandis, anche in casi analoghi riguardanti altri Stati” (Antonio Bultrini, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo: considerazioni introduttive, in Il Corriere giuridico, Ipsoa, n. 5/1999, pagina 650). D’altra parte, dice l’articolo 53 della Convenzione, “nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Paese contraente o in base ad ogni altro accordo al quale tale Parte contraente partecipi”. Vale conseguentemente, con valore vincolante, l’interpretazione che della Convenzione dà esclusivamente la Corte europea di Strasburgo. Non a caso il Consiglio d’Europa, nella raccomandazione R(2000)7 sulla tutela delle fonti dei giornalisti, ha scritto testualmente: “L’articolo 10 della Convenzione, così come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, s’impone a tutti gli Stati contraenti”.
4. Conclusioni. Ordine ed Fnsi devono avvertire il dovere e l’obbligo di impugnare la sentenza della Cassazione davanti alla Corte di Strasburgo a tutela della libertà dei cronisti di accedere alle fonti di informazione. Spetta all’Ordine nazionale dei giornalisti e alla Fnsi nonché alle loro strutture regionali (Ordine dei Giornalisti della Lombardia e Associazione lombarda dei giornalisti) impugnare la sentenza della Cassazione, che ha condannato i giornalisti di www.merateonline.it – davanti alla Corte di Strasburgo. Spetta agli enti rappresentativi della categoria farsi carico di una iniziativa ragionevole e forte e dei relativi costi. La sentenza è una brutta pagina nella storia della Giustizia e nella storia del Giornalismo italiano. Affermare il diritto dei giornalisti ad ascoltare le frequenze libere, non criptate, delle forze di polizia per conoscere i fatti di cronaca nel momento in cui avvengono è un diritto dei cronisti ed un elemento che accresce la concorrenza tra i vari organi di stampa. Il giornalismo vive anche di tempestività attraverso le agenzie, i quotidiani online, le emittenti radiofoniche e televisive. Anche per i giornali di carta la concorrenza è importante, perché la tempestività dell’accesso alle fonti consente di progettare subito quegli interventi, che spiegano i fatti e che ne raccontano i retroscena. “Per attività giornalistica deve intendersi la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione; il giornalista si pone pertanto come mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso…… differenziandosi la professione giornalistica da altre professioni intellettuali proprio in ragione di una tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione” (Cass. Civ., sez. lav., 20 febbraio 1995, n. 1827).
Milano, 5 giugno 2008.
Ufficio del difensore civico dei giornalisti. (Franco Abruzzo – [email protected] cellulare 3461454018 –tel/fax 022484456). Indirizzo messanger: [email protected]