Giornalismo: non solo fake news, precariato dilagante, problemi dell’Inpgi e non poco diffuso discredito per la categoria; quella del giornalista è una professione sempre più complicata e talora persino rischiosa, mentre almeno l’Italia riguadagna qualche punto nella classifica di Reporters sans frontières.
Non passa giorno, ormai, che non si diffonda qualche allarme sulle ‘modalità’ con cui si esercita in Italia, oggi, il mestiere di giornalista. Quella che era (ormai qualche decennio fa) una professione ambita e rispettata, e anche decisamente privilegiata dal punto di vista economico, normativo e previdenziale, viene oggi svolta da molti in una condizione a dir poco ‘complicata’, per i giovani giornalisti anche decisamente ‘penalizzante’, mentre dal punto di vista dei media la situazione è completamente cambiata, con l’avvento di internet e dei social, che da una parte hanno minato alla base quelle che erano le solide ‘certezze economiche’ della categoria (si pensi alla crisi dei quotidiani, all’Inpgi e al dilagare del precariato), dall’altra hanno insidiato con decisione la credibilità del mestiere. Le tante fake news che si sono diffuse in questi anni hanno minato la natura stessa della professione (chi ha titolo per fare il giornalista se lo fanno un po’ tutti e come distinguere le notizie vere dalle ‘bufale’?), gettando talora un discredito generalizzato sulla categoria, tuttora considerata privilegiata e troppo ‘legata al potere’.
A questo tipo di operazioni hanno dato una mano fino a poco tempo fa anche forze politiche come i 5 Stelle, con il disprezzo ostentato da Grillo, le liste di giornalisti sgraditi o non accreditati alle manifestazioni, la reiterata proposta di non dare più alcun contributo pubblico agli organi di informazione (già molto in crisi, come dicevamo). L’esito finale di questo atteggiamento è stato tuttavia, manco a dirlo, un po’ paradossale, con l’elezione al Parlamento di giornalisti noti come Paragone e Carelli e una diffusa presenza nella Tv a lungo osteggiata di esponenti di primo piano dei Cinquestelle, a partire proprio da Di Maio.
C’è poi chi non gradisce il fatto stesso di avere a che fare con dei giornalisti impegnati solo nel porre delle domande, anche in occasioni pubbliche (si pensi al pessimo ‘siparietto’ del presidente della Federbalneari andato in onda lunedì scorso a ‘Report’), mentre un discorso a parte andrebbe riservato alla ‘saga’ di un ex ministro (delle Comunicazioni!) come Landolfi, che prima ha maltrattato fisicamente l’inviato di ‘Non è l’Arena’ Lupo e poi è andato in trasmissione per le inevitabili scuse, dando peraltro vita a un lungo ‘tira e molla’ con lo stesso Lupo e Giletti, non senza ‘tenere il punto’.
L’abbiamo ‘presa larga’ ma era per far capire quanto sia difficile e complicato oggi fare il giornalista, anche perché non si sa più bene chi davvero svolga il mestiere: sono sicuramente ‘colleghi’ quelli del sito Fanpage che, anche con modalità ‘al limite’, cercano di documentare il dilagare della corruzione in Campania, condizionando con le loro inchieste anche la vigilia delle elezioni politiche del 4 marzo, ma non ‘fa giornalismo’, a suo modo, anche ‘Striscia la notizia’, rubrica nata a suo tempo per sbeffeggiare il ‘giornalismo ufficiale’ delle veline? E delle ‘Iene’, che fa anche spettacolo ma di scoop ne ha collezionati non pochi, cosa possiamo dire?
Una lunghissima premessa ad un discorso in realtà ‘infinito’, che ci porta all’attualità del giornalismo di questi giorni: la Fnsi ha indetto tre giornate di iniziative, da Nord a Sud, in difesa del lavoro regolare e della libertà di stampa e per non dimenticare i giornalisti uccisi da mafie e terrorismo. Dall’1 al 3 maggio, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana è “impegnata in tre appuntamenti con al centro la dignità del lavoro giornalistico, sempre più sotto attacco”.
Si inizia martedì 1° maggio a Reggio Calabria, presso la sede del Consiglio Regionale, con la prima Festa del lavoro targata Fnsi, che celebrerà il primo maggio in un modo ‘inconsueto’. Ci saranno anche, fra i tanti, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri e il ‘mitico’ cantautore Otello Profazio con i suoi ‘Canti di lavoro’. La ‘Festa del lavoro, dei diritti e della dignità’, promossa dalla Fnsi per la prima volta nella sua storia, sarà anche ripresa e trasmessa dalla Tgr Rai.
Mercoledì 2 maggio, alla vigilia della XXV Giornata internazionale per la libertà di stampa, Fnsi, Usigrai, Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Articolo21, Odg Lazio, Amnesty International Italia e Rete NoBavaglio saranno poi al liceo ‘Mamiani’ di Roma, insieme con i cronisti costretti a vivere sotto scorta per via del loro lavoro, per una giornata dedicata ai giornalisti ‘sotto tiro’ in tutto il mondo, a cominciare dalla Turchia.
L’iniziativa sul giornalismo ha per titolo ‘L’informazione accerchiata’ ed è rivolta in particolare agli studenti che partecipano al concorso ‘Rileggiamo l’Articolo 21 della Costituzione’, patrocinato dal Miur. Ci saranno, fra gli altri: Peter Bardy, direttore di ‘Aktuality’, il giornale del reporter Jan Kuciak, ucciso in Slovacchia a febbraio; Carlo Bonini, inviato di ‘Repubblica’ e tra i promotori del ‘Daphne Project’, il consorzio internazionale dedicato a Daphne Caruana Galizia, uccisa a Malta in ottobre; Saadet Yildiz, giornalista curda.
Giovedì 3 maggio, infine, si svolgerà a Venezia, al Teatro La Fenice, l’11esima ‘Giornata della memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo’, manifestazione promossa dall’Unione Nazionali Cronisti Italiani, con il Sindacato giornalisti del Veneto e con l’Ordine dei giornalisti locale, in collaborazione con Fnsi e Consiglio Nazionale dell’Ordine.
Ma come stanno, in generale, ‘la libertà di stampa e di opinione’ in Italia e nel mondo? Si sono occupati di questo tema, con conclusioni analoghe, nei giorni scorsi, il Consiglio d’Europa e Reporters sans frontières.
L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha lanciato l’allarme sulle condizioni di lavoro dei giornalisti e sulle difficoltà del giornalismo in generale. In due rapporti si chiede agli Stati di adottare provvedimenti in difesa della professione: il rispetto degli standard sulla libertà di stampa, misure concrete contro aggressioni e minacce, abolizione del carcere dove ancora esiste (e in Italia non è stato ancora abolito!), forme alternative di finanziamento per i media tradizionali.
“In specifico, le condizioni di lavoro dei giornalisti continuano a deteriorarsi: hanno giornate lavorative sempre più lunghe, pressioni sempre maggiori su cosa pubblicare, meno tempo per controllare l’esattezza dei fatti ma anche per condurre inchieste su questioni delicate. Aumentano le vittime d’intimidazioni, di attacchi verbali e fisici, che possono arrivare fino all’omicidio. Inoltre continua a crescere, a ritmi sostenuti, il numero di freelance, che non hanno gli stessi diritti dei giornalisti assunti”.
Il Rapporto 2018 di Reporters sans frontières sul giornalismo, da parte sua, stilando la consueta classifica mondiale della libertà di stampa, non è tenero con la situazione del nostro Paese: “Una decina di giornalisti italiani sono ancora sotto una protezione permanente e rafforzata della polizia dopo le minacce di morte proferite, in particolare, dalla mafia, da gruppi anarchici o fondamentalisti”.
Ma soprattutto, soprattutto relativamente al giornalismo d’inchiesta, “il livello delle violenze perpetrate contro i reporter (intimidazioni verbali o fisiche, provocazioni e minacce…) è molto inquietante e non cessa di aumentare, in particolare in Calabria, Sicilia e Campania. Numerosi giornalisti, soprattutto nella Capitale e nel sud del Paese, si dicono continuamente sotto pressione di gruppi mafiosi che non esitano a penetrare nei loro appartamenti per rubare computer e documenti di lavoro confidenziali quando non vengono attaccati fisicamente”. Tuttavia, “dimostrando coraggio e resilienza, questi giornalisti, continuano, nonostante tutto a pubblicare le loro inchieste”.
È quanto sostiene anche ‘L’Espresso’ di questa settimana, che nell’articolo di copertina sugli ‘eredi’ di Peppino Impastato, cita alcuni casi specifici positivi di ‘resistenza a mafia e camorra’, come Radio Siani di Ercolano e l’importante emittente televisiva palermitana Trm, di cui magari sarà opportuno riparlare con attenzione.
Tornando a Reporters sans frontières, fra i 180 Paesi considerati nell’annuale classifica, al primo posto c’è la Norvegia e all’ultimo c’è la Corea del Nord (ma chissà se cambierà qualcosa, dopo i recenti ‘abbracci’ con la Corea del Sud). L’Italia è in 46/a posizione, contro la 52/a dello scorso anno, con un progresso di 6 punti.
Un miglioramento che, tuttavia, mantiene il nostro Paese in una ‘posizione grigia’ all’interno della stessa Unione Europea. Pesano la cronica mancata risoluzione del conflitto di interessi, la debolezza delle normative antitrust, il controllo politico sulla nomina del gruppo dirigente della Rai, la mancata abrogazione dei reati di opinione. Insomma, c’è ancora tanta strada da fare per un giornalismo sano. (M.R. per NL)