Dal 1911 al 1920 fu redattore-stenografo, corrispondente dall’estero e inviato speciale della Stampa; dal 1920 al 1930 proseguì la sua attività come corrispondente dall’estero e inviato speciale della Stampa, dove divenne anche redattore capo, passando poi a dirigere la Gazzetta del Popolo; nei successivi dieci anni, dunque fino al 1940 rimase collaboratore anonimo di numerosi giornali italiani, tra cui, naturalmente, la Stampa; dal ’45 al ’46 fu vicedirettore e direttore dell’Opinione per poi passare, nel ’48, alla direzione della Stampa e Stampa Sera. Quella dello storico direttore del quotidiano torinese, Giulio De Benedetti, è una carriera incredibile e affascinante, iniziata per caso – come improbabile traduttore dal tedesco al fronte: si racconta che non conoscesse affatto la lingua; la imparò in fretta per potersi accaparrare il lavoro di corrispondente durante la guerra – conclusasi in modo eccellente, lasciando ai posteri la figura emblematica di un giornalista democratico in epoca repubblicana – Gidibì sguinzagliava spesso redattori nei sobborghi di Torino, convinto che tra il popolo e gli operai si nascondessero gli scoop migliori. Ricordato da Enzo Biagi come il Terribile per la sua determinazione sul lavoro, Gidibì si portava appresso tutto il fascino della sua professione, costringendo redattori e collaboratori ad orari estenuanti e a riunioni interminabili, correggendo e ricorreggendo ogni elaborato anche dopo il lavoro dei correttori di bozze. Un personaggio ricordato meticolosamente nel saggio di Alberto Papuzzi e Annalisa Magone, intitolato Gidibì, il potere e il fascino del giornalismo. Il volume è pubblicato da Donzelli Editore (pp. 168; € 25,00). (Marco Menoncello per NL)