«Ci sono ritardi che questo paese non si può più permettere e un gruppo come Telecom Italia deve assolutamente uscire dallo stallo in cui è da quasi un anno e mezzo, dal settembre del 2006. Tanto più che in questi diciotto mesi, gli altri grandi mercati europei sono andati avanti sulle reti di nuova generazione, sulla fibra ottica». Ha voglia di parlare di Telecom Italia, il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni (foto). Anche se pesa le parole per via della partita sulla nomina del nuovo vertice ancora in corso. Però, una volta ribaditi i diversi campi di competenza del governo e degli azionisti, resta anche un terreno comune al ministro delle Comunicazioni e al maggior gruppo nazionale di tlc. E’ il terreno delle regole e degli obiettivi di sviluppo di un sistema di infrastrutture e servizi che sono strategici per l’intera economia. E su questo terreno Gentiloni non si tira indietro. «Se Telecom Italia va troppo piano un intero settore procede con gli investimenti al rallentatore. E questo stato di cose non è ulteriormente prolungabile».
E voi in che modo potete intervenire?
«Il nodo del management è degli azionisti, sono decisioni loro. A noi interessa solo che Telecom abbia un vertice operativo e stabile».
La telenovela Telecom ha allungato i tempi delle consultazioni dell’Agcom sullo scorporo della rete.
«Certo Telecom non era nelle condizioni migliori per affrontare un tema di questa portata, che è poi strettamente connesso all’altro, quello degli investimenti nelle reti di nuova generazione. Ma a nomine fatte tutto dovrà muoversi più in fretta per arrivare rapidamente ad una conclusione».
Quanto rapidamente?
«La data la fisserà L’Authority».
Ma non c’è anche una questione che riguarda il governo direttamente? Il cosiddetto “emendamento gentiloni” nel decreto Bersani sulle liberalizzazioni, che dà esplicitamente all’Agcom il potere di decidere misure come lo scorporo della rete.
«L’iter del decreto è quasi compiuto. Dopo di che l’Autorità avrà uno strumento in più. Ma potrebbe arrivare allo stesso obiettivo con l’attuale quadro legislativo. Preferisco pensare allo scorporo della rete come ad un obiettivo da raggiungere al termine di un percorso condiviso».
Difficile che Telecom la condivida.
«La separazione non è un valore in sé, un’opzione ideologica. E non dev’essere una minaccia contro Telecom, ma un’opportunità. Per la stessa Telecom, per le altre imprese del settore e per il paese. Si sta insomma parlando di come rivedere il sistema delle asimmetrie finora adottate per garantire lo sviluppo di un mercato aperto, concorrenziale. Deve essere insomma un vantaggio per tutti: per Telecom e per gli operatori alternativi. E per il paese».
E’ un obiettivo raggiungibile?
«Sono sicuro di sì. Guardi, qui c’è un paese che è in bilico tra ritardo e innovazione. Abbiamo dei punti di forza. La qualità della nostra rete in rame che consente buoni collegamenti Adsl, un sistema di regole avanzato, che fasi che abbiamo l’unbundling più conveniente d’Europa; ottime reti mobili che contribuiranno all’accesso alla banda larga, anche se c’è un problema di tariffe da tenere d’occhio. Ma abbiamo anche tre grossi punti di debolezza. Il primo è il consumo di Internet. E’ troppo basso. Nel senso che è ancora poco diffuso. Abbiamo ancora un forte ritardo di alfabetizzazione informatica. Il secondo è il divario digitale. Che è apparentemente piccolo: se parliamo in termini di popolazione è un 8-9%. Ma è grande in termini di territorio, se pensiamo che un comune su tre è sprovvisto di Adsl. E anche il numero di aziende localizzate in aree non servite dalla banda larga è piuttosto alto. Infine abbiamo registrato negli ultimi diciotto mesi un certo rallentamento degli investimenti in questo settore. A questo punto abbiamo il dovere di fare in fretta. Occorre darsi una mossa. Non si esce da questo stallo senza Telecom Italia. Perché è l’incumbent e perché ha le dimensioni per sostenere una grande mole di investimenti. Ma neanche Telecom Italia da sola arriva lontano. Ecco perché lo scenario va ridisegnato tutti assieme, aumentando il tasso di concorrenza o con la separazione della rete, o facendo leva sulle tariffe».
E il governo che compito si dà, per parte sua?
«Noi abbiamo fissato l’obiettivo: entro il 2011 dobbiamo avere l’accesso Internet a banda larga in ogni casa. E abbiamo fatto più di un passo nel ride- finire un quadro di riferimento che con- senta un pieno dispiegamento degli investimenti privati. Abbiamo potenztato gli strumenti dell’Autorità, abbiamo avviato la gara per il WiMax, stiamo lavorando con il ministero delle Regioni affinché gli enti locali, le Regioni, le Province, si muovano in un sistema di riferimenti unitario in modo da concentrare le risorse. Certo, quando vedo il volume di investimenti autorizzati dal Cipe noto che c’è ancora un’idea di infrastrutture troppo tradizionale, in cui si pensa più alle strade che alle autostrade elettroniche, ma stiamo comunque procedendo».
Come?
«L’accordo delle settimane scorse con la Regione Emilia Romagna, per portare entro il 2009 la banda larga nelle aree cosiddette “a fallimento di mercato” dove cioè gli operatori privati non arriveranno mai, è solo il primo di una serie. Sono in dirittura d’arrivo quelli con Lazio, Piemonte e con altre Regioni che parteciperanno con lo Stato al finanziamento».
E sul fronte della promozione della domanda di Internet?
«Dobbiamo spingere su tre leve: la scuola, dove il nostro governo ha ereditato più slogan (le famose tre ‘i’), che risultati. E non possiamo accontentarci dell’elevata diffusione dei cellulari tra i giovani, che di per sé non possono sostituire il pc. La seconda leva è quel enorme polmone costituito dalla Pubblica Amministrazione: sull’eGovernment ci sono diverse iniziative nuove avviate con la Finanziaria. Infine la terza leva è lo stesso tessuto delle nostre piccole e medie imprese che, con l’impegno di camere di commercio e associazioni di categoria, possono fare un salto di qualità: colmare i ritardi nell’uso della Rete e moltiplicare le loro potenzialità di mercato».