Intervista di Marco Mele tratta da “Il Sole 24 ore”
Paolo Gentiloni (foto), ministro delle Comunicazioni, descrive un «settore che ha tassi di crescita e innovazione mediamente più alti del resto dell’economia, strategico per il Paese. Dargli iniezioni di liberalizzazione e certezze significa contribuire al rilancio dell’economia».
Le comunicazioni sono un capitolo delle liberalizzazioni. Con quali obiettivi?
Rendere più libero il mercato nel settore televisivo: più concorrenza vuol dire più pluralismo. La tv italiana rischia di avere “piombo sulle ali” se resta un gioco a numero chiuso. Il secondo è quello di costruire un quadro dove vi sia certezza d’investimenti e chiarezza sulla loro remunerazione per le reti di prossima generazione.
Partiamo dalle reti e da quella di Telecom Italia…
Lo Stato deve fissare le regole. Non porsi il problema di “ripubblicizzare” le reti. Siamo nel 2007: qualsiasi ipotesi di buy back pubblico sarebbe, a mio parere, sbagliata.
Per le reti di prossima generazione servono massicci investimenti…
Il nostro obiettivo di legislatura è la copertura da servizio universale per la banda larga. Siamo all’88% della popolazione. Per avere la copertura da servizio universale, in parte è compito delle aziende, in parte lo faremo assegnando le licenze per l’accesso alla Rete con il Wi-Max. Il Governo è riuscito in cinque mesi a risolvere un problema che quello precedente si è trascinato per due anni: l’accordo tra Difesa e Comunicazioni ci consente di mettere in gara entro quest’estate le prime licenze Wi-Max.
Bisogna ammodernare le reti per arrivare a quelle di prossima generazione, con investimenti da miliardi di euro. Un singolo collegamento costerà 8-900 euro. Tale discorso coinvolge principalmente l’ex monopolista Telecom, che deve dare al Paese certezza sugli investimenti del suo Piano industriale, in un prossimo Cda, anche per rafforzare la presenza internazionale del gruppo.
Quanto all’ipotetico ingresso di Telefonica in Telecom?
Sull’eventualità che nuovi soggetti entrino in Olimpia, si tratta di decisioni tipiche degli azionisti. Il Governo sottolinea due esigenze: è bene che il controllo della rete di Tlc resti all’Italia e servono certezze sugli investimenti, superando lo squilibrio tra distribuzione di dividendi e investimenti, che c’è stato rispetto alle aziende comparabili. Su questo piena fiducia all’impegno del presidente Guido Rossi.
Gli operatori chiedono contropartite..
L’esigenza di remunerare gli investimenti è legittima. Uno Stato regolatore deve risolverla. Senza andare a una soluzione di tipo tedesco (il Parlamento ha riconosciuto a DT, in cambio dei suoi investimenti, la potestà di limitare l’accesso ai concorrenti). L’Autorità delle comunicazioni ha avviato il lavoro per far sì che chi investe trovi ritorni adeguati e al tempo stesso per garantire equivalenza d’accesso anche alla concorrenza. Occorre un equilibrio regolatorio condiviso dagli operatori. Il Governo valuterà l’ipotesi di rafforzare tale quadro con la modifica del Codice delle comunicazioni elettroniche.
E sull’integrazione fisso-mobile?
Da Vodafone Casa all’Unico di Telecom, dagli operatori virtuali agli accordi tra gestori e grande distribuzione: sono passi nella direzione giusta, favoriscono l’innovazione e offrono più servizi ai consumatori.
Perché la tv è parte della politica di liberalizzazioni?
Nel suo percorso verso il futuro, la tv italiana deve spezzare due colli di bottiglia: risorse pubblicitarie e frequenze. Il nostro sistema ha un livello di concentrazione senza paragoni con alcun paese occidentale.
Ddl Gentiloni: Silvio Berlusconi parla di “piano criminale”, Piersilvio Berlusconi di “Mediaset in catene”…
Al di là dei numeri al lotto sul tetto pubblicitario, vedo con piacere che il disegno del Governo produce effetti collaterali positivi. Mediaset, finalmente, si pone il problema della tv del futuro, si propone di diventare operatore virtuale di telefonia mobile e d’investire su nuovi canali digitali.
Il tetto del 45% resta un punto fermo?
Certo, è l’indicazione di una soglia per una posizione dominante. I limiti antitrust ex ante fissati per legge sono presenti in quasi tutti i paesi europei e perfino negli Stati Uniti. L’obiettivo è identico: contrastare le posizioni dominanti nel settore tv perché che rappresentano non solo un ostacolo alla concorrenza ma anche una minaccia per il pluralismo.
Mediaset perderà un terzo del suo fatturato?
No. Il superamento della soglia comporta dei rimedi anticoncentrazione: riduzione degli affollamenti pubblicitari e migrazione anticipata di reti. Sarà il mercato a decidere gli spostamenti di pubblicità ma certo non stiamo parlando di quel terzo del fatturato di cui parla Mediaset.
L’Italia avrà la tv tutta digitale nel 2012?
Il digitale terrestre ha un brutto marchio d’origine: è stato lanciato con tempi e modalità finalizzate, più che altro, ad aggirare una sentenza della Corte Costituzionale. Dobbiamo evitare che questo pregiudichi la destinazione. Il digitale è il futuro. Le imprese devono scommetterci. Ora. Nei prossimi mesi si libereranno risorse economiche e trasmissive che, con le innovazioni tecnologiche, apriranno una nuova stagione televisiva. Il digitale non sarà tutto terrestre ma quest’ultimo resta la ricetta più giusta per dare continuità alla tv generalista gratuita.
C’è il collo di bottiglia delle frequenze..
Un’altra anomalia italiana. Il digitale terrestre in Francia, Gran Bretagna e Spagna cresce perché gli editori ricevono dallo Stato una dotazione di frequenze. Da noi questo non è possibile. Non ci sono frequenze disponibili. Bisogna liberarle dall’uso analogico. Lo faremo con la politica dei territori all digital e con il trasferimento anticipato di interi palinsesti.
La Rai sembra ferma o quasi…
Va con il motore al minimo ma sbaglia se coltiva l’illusione di basarsi solo sui risultati di ascolto. Il primo obiettivo delle nostre linee di riforma è porre la Rai alla testa dell’innovazione. Il contratto di servizio, sul quale abbiamo avuto parere favorevole della Vigilanza, prevede un’offerta di servizio pubblico multimediale, impegni e nuovi programmi sul digitale, potenziamento della presenza su Internet. Il precedente contratto, che non risale al dopoguerra ma al 2003, non contiene riferimenti a Internet. Il secondo è una Rai meno dipendente dal binomio ascolti-pubblicità: la rincorsa al modello commerciale va bloccata. La Rai deve ricostruire la propria differenza: l’indice di valore pubblico del contratto di servizio è il primo passo. Al quale farà seguito, a mio avviso, la distinzione societaria tra ciò che è finanziato prevalentemente dal canone e ciò che lo è dalla pubblicità.
Il terzo è il più arduo, l’autonomia dalla politica…
Il Governo non dev’essere azionista della Rai. È bene lo sia una Fondazione, il cui vertice venga nominato con criteri tali da assicurare neutralità rispetto alle maggioranze pro-tempore. Penso ci siano le condizioni per una svolta.
Il Cda attuale arriverà a fine mandato?
Resto convinto che i rappresentanti dell’azionista Tesoro, finché resta tale, nelle azienda partecipate, debbano essere silenziosi e neutrali. Non mi pare il caso della Rai. Stiamo valutando la situazione dopo la definitiva sentenza del Consiglio di Stato. Il Ministro dell’Economia ha chiesto un parere all’Avvocatura di Stato. Nelle prossime settimane il Governo formerà il suo orientamento.