Lo scorso 12 ottobre c’è stato, come abbondantemente annunciato, un Consiglio dei Ministri straordinario. Dopo le decisioni riguardo gli accordi sul welfare, l’esecutivo ha votato all’unanimità l’approvazione di un disegno di legge che riordina la legislazione del settore editoriale italiano. Eliminata una parte delle assurde sovvenzioni pubbliche all’editoria, il ddl prevedeva, in una piccola postilla, la regolamentazione amministrativa di siti internet e blog. La rete, da sempre libera per definizione (per lo meno nei paesi dove la libertà d’espressione è un diritto inalienabile), sarebbe (se passasse l’elaborato legislativo come approvato dal CdM) così sottoposta ad alcune limitazioni (creazione di vere e proprie testate giornalistiche da registrare al ROC per ciascun sito o blog, con tanto di direttore responsabile, che dipenderebbero e sarebbero regolamentate non più dagli Uffici Stampa dei Tribunali, bensì dall’Autorità garante per le comunicazioni) degne dei cosiddetti paesi “nemici di internet”.
Questo ddl, approvato dal governo con una nonchalance invidiabile – forse perché sicuro che sarebbe passato inosservato – ha invece provocato le ire del mondo dell’informazione libera e dell’opinione pubblica, a partire dal popolo dei blogger, capitanati, neanche a dirlo, da Beppe Grillo (leggete cosa ne pensa il comico genovese: www.beppegrillo.it, 19 ottobre 2007 “La legge Levi-Prodi e la fine della rete”). “Liberticida” è l’aggettivo usato per definire il ddl, ma non solo dal popolo della rete, persino dai ministri stessi. Ecco cosa ne pensa Di Pietro, tra coloro che hanno dato il via libera al decreto: “Il disegno di legge non è stato discusso nel Consiglio dei Ministri del 12 ottobre perchè presentato come provvedimento di normale routine”. Verrebbe da chiedersi, come si fa ad approvare un ddl senza nemmeno sapere di cosa si tratti o quantomeno averlo letto con la dovuta attenzione? Per di più un ddl di tale importanza. Ma Di Pietro si scusa e ribatte: “Ho letto il testo oggi per la prima volta (19 ottobre, ndr) e la mia opinione è che vada immediatamente bloccato il disegno di legge che, nei fatti, metterebbe sotto tutela Internet in Italia e ne provocherebbe probabilmente la fine. E’ una legge liberticida, contro l’informazione libera e contro i blogger che ogni giorno pubblicano articoli mai riportati da giornali e televisioni”. Meglio tardi che mai. Ma, comunque, è pur giustificabile il fatto che un ministro delle Infrastrutture non si occupi personalmente (anche se il ruolo di Di Pietro è, probabilmente, più ampio all’interno dell’esecutivo) di certe questioni. Cosa che, fuori da ogni dubbio, dovrebbe fare un ministro delle Comunicazioni. Ed ecco, invece, che Gentiloni (foto), l’uomo di Rutelli, cade dalle nuvole e otto giorni dopo l’approvazione del disegno di legge dichiara dal suo blog che il ddl “Va corretto perché la norma sulla registrazione dei siti internet non è chiara e lascia spazio a interpretazioni assurde e restrittive”. Ma dov’era Gentiloni, mentre la proposta del sottosegretario Levi veniva approvata dal Consiglio dei Ministri? Un ministro delle Comunicazioni può davvero sostenere di non aver letto un testo che riforma il settore dell’editoria prima d’approvarlo? Questo è davvero troppo, Gentiloni. Per di più, dal suo blog personale, tempestato di commenti comprensibilmente negativi al post dove il Ministro faceva il mea culpa per l’errore di valutazione (otto giorni dopo aver approvato il ddl s’è accorto che era quantomeno “restrittivo”, dopo essere stato assalito dagli insulti del popolo della rete…), non giungono motivazioni per giustificare il perché di una così lampante negligenza. Si impegni a fare il suo lavoro Gentiloni, senza dover ricorrere alle lacrime da coccodrillo per superare le carenze del proprio lavoro. Sarebbe più credibile. (Giuseppe Colucci per NL)