Lo scontro sul DTT
Roma – C’è urgenza di valutare e approvare il disegno di legge del Governo sulla televisione digitale, non si può attendere ulteriormente perché è un testo che regola la transizione dal sistema attuale al DTT, un momento delicato che ha bisogno di certezze, per tutti, dagli utenti agli operatori. Così ieri il ministro alle Comunicazioni Paolo Gentiloni ha sottolineato l’importanza di accelerare i tempi dinanzi alle commissioni Trasporti e Cultura della Camera dei Deputati.
Il ddl in questione, il 1825, “si concentra – ha spiegato Gentiloni – su un punto strategico per il paese: la fase di transizione. Il regolatore decide sulla fase che va dal 2007 al 2012, anche se alcune norme saranno valide anche a regime. Non è una riforma generale del testo unico radiotelevisivo, che non è detto debba essere fatta ogni due o tre anni”.
Ciò che il Ministro vuole evitare, evidentemente, è che il ddl 1825 sia messo in stand by in attesa del prossimo annunciato disegno di legge del Governo sulla RAI, progetto legislativo ancora non presentato e che non lo sarà probabilmente prima di diversi mesi: il rischio è che si accumuli un ritardo grave. “Credo – ha sottolineato Gentiloni – di aver argomentato che il Governo ritiene che non solo si possa, ma che si debba avviare separatamente l’analisi del ddl sul digitale da quello in arrivo sulla RAI”. “Se non lo facessimo – ha sottolineato – ci prenderemmo la responsabilità piuttosto grave verso la giurisprudenza costituzionale che con più sentenze, l’ultima di quattro anni fa, ha definito incompatibile con i principi del pluralismo il nostro sistema televisivo”.
A rendere urgente il 1825 è evidentemente anche la necessità di rispondere alle ingiunzioni della UE sui finanziamenti al DTT. Attesa da tempo, ieri la Commissione ha formalizzato la propria decisione: le società di broadcasting che hanno beneficiato maggiormente di quei finanziamenti dovranno rimborsare quanto ricevuto dalle Finanziarie del 2004 e del 2005.
Secondo Bruxelles, e in particolare secondo il commissario alla Concorrenza Neelie Kroes, quei finanziamenti “sono incompatibili con le norme degli aiuti di stato, in quanto non sono tecnologicamente neutri e creano una indebita turbativa della concorrenza escludendo la tecnologia satellitare”. Diversa la questione per i contributi 2006 perché sono rivolti a tutti i decoder indipendentemente dalla piattaforma (DTT o SAT) e sono quindi per la Commissione “proporzionati all’obiettivo di promuovere la transizione alla televisione digitale”. Quei contributi, come si ricorderà, sono andati in Sardegna e Valle d’Aosta per promuovere la diffusione della tv in regioni a copertura ridotta, e sono quindi considerati anche per questo “accettabili”.
Ma perché a pagare per i finanziamenti al DTT 2004 e 2005 dovranno essere le emittenti? Lo spiega la Commissione, sottolineando come “i sussidi procurano un vantaggio indiretto alle emittenti televisive terrestri dominanti e agli operatori di televisione via cavo in quanto consentono loro di sviluppare la propria audience digitale, una parte cruciale del business della pay tv o di un’emittente che voglia sviluppare servizi di pay tv”.
Non è un caso che subito dopo l’annuncio della decisione di Bruxelles, sia intervenuta Mediaset, che si dice pronta a ricorrere contro la decisione della Commissione. “I contributi in questione – fa sapere l’azienda – hanno certamente assicurato vantaggi ai consumatori ma non hanno avuto alcun beneficio sul conto economico delle società, a cui non può quindi essere richiesta alcuna restituzione. Non a caso non era mai successo che la Commissione europea imponesse restituzioni a soggetti che non hanno beneficiato né direttamente né indirettamente di presunti aiuti di stato”. Secondo Mediaset, quella della Commissione è l’adesione alle richieste di SKY ed è una decisione che “costituisce un vantaggio competitivo per la piattaforma satellitare che opera in Italia in regime di monopolio”. In buona sostanza, secondo l’azienda televisiva, “riteniamo che la decisione della Commissione Europea sia destituita di ogni fondamento”.
Ma ad intervenire è anche il DGTVi, l’associazione per il DTT che comprende la stessa Mediaset ma anche RAI, Telecom Italia Media e molte emittenti locali. Secondo DGTVi, i prossimi incentivi fiscali dovranno essere indirizzati esclusivamente a apparecchi televisivi con decoder evoluti ed interattivi. Ed è per questo che secondo DGTVi è necessario che il ministero TLC si confronti con la Commissione Europea sulle “caratteristiche minime che devono avere gli apparecchi”. Il rischio, altrimenti, sarebbe quello di “finanziare televisori destinati ad essere rapidamente superati dall’evoluzione tecnologica e persino più poveri di prestazioni e servizi di quelli già attualmente presenti”. “L’assenza di questi requisiti minimi – sostiene DGTVi – si tradurrebbe in uno sperpero di denaro pubblico, in una beffa per i consumatori e in un iniquo vantaggio per l’operatore televisivo satellitare a pagamento, che ha scelto un modello proprietario e non interoperabile”.
Perché il 1825 decolli, comunque, ci vorrà tempo. Dalla prossima settimana partiranno le audizioni presso le due commissioni della Camera per approfondire l’intera questione, solo dopo si arriverà ad esaminare il ddl che, una volta licenziato dalle commissioni, dovrà arrivare in aula con tempi ancora tutti da stabilire.
Ma ieri Gentiloni ha messo l’accento anche su altre questioni rilevanti. Ecco cosa è emerso.
RAI e contratto di servizio
Secondo Gentiloni il ddl sul DTT non è altro che un pezzo del quadro complessivo di riforma e riorganizzazione sul quale sta lavorando il Governo. Altri pezzi di questo puzzle, in arrivo nei prossimi mesi, sono il nodo sui diritti del calcio e soprattutto la già molto discussa riforma della RAI. “Riguarda – ha spiegato il Ministro – un assetto immutato in 32 anni. L’ultima riforma è del 1975 e gli interventi successivi hanno riguardato solo il CdA. Tutto il resto non è mai stato minimamente preso in considerazione. Credo che il tema sia di grande importanza”.
Le linee guida per la riforma RAI potrebbero trasformarsi in un provvedimento da portare all’attenzione del Consiglio dei Ministri “entro i primi sei mesi del 2007” ma “l’unica data stabilita al momento è il termine della consultazione per fine febbraio”. I nodi da sciogliere sono molti: “Con il ministero dei Beni culturali – ha continuato – abbiamo messo in piedi un’iniziativa sui contenuti culturali della rete. Ne parleremo poi perché è solo all’inizio, ma il tema va approfondito rispetto a quello contenuto nella 122 e nel testo unico, e richiede un intervento”.
Ma il fronte più caldo per il Governo sul nodo RAI è, come ben sanno i lettori di Punto Informatico, il contratto di servizio (disponibile qui) che definisce, in buona sostanza, cosa farà la televisione di stato nei prossimi tre anni.
I consumatori sono già sul piede di guerra: due giorni fa Adiconsum ha chiesto formalmente che il Governo torni a lavorare sulla base della prima bozza del Contratto di Servizio, quella che era stata accolta con entusiasmo da tutta la rete ma che non è quella passata all’esame della Commissione.
Secondo Adiconsum “nel primo testo, RAI assumeva impegni tali da giustificare un aumento del canone, che Adiconsum, proprio in base all’assunzione di tali impegni, ha giustificato. Tali impegni sono stati poi cancellati o ridimensionati, senza alcuna giustificazione, nel testo successivo inviato alla Commissione parlamentare di vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La tesi addotta dalla RAI di una presunta mancanza di risorse non ci convince, soprattutto quando circa il 50% dell’aumento del canone è stato destinato non a migliorare la qualità dei programmi, bensì al pagamento di una sanzione di 15,5 milioni di euro comminata alla RAI dall’Autorità delle comunicazioni per decisioni illegittime da parte del suo Consiglio di amministrazione”.
Ma anche i provider di Assoprovider vanno all’attacco. In una nota chiedono “che sia garantita agli utenti la parità di accesso ai contenuti della RAI alle medesime condizioni economiche e qualitative indipendentemente dall’operatore scelto dall’utente, evitando così la formazione di monopoli e di Walled Garden nei contenuti multimediali”. Il riferimento è alla questione della neutralità della rete, un elemento centrale per l’intero settore dell’accesso oltreché per i consumatori e per i costi di fruizione dei contenuti in Internet.
Secondo Assoprovider, per garantire la parità occorre seguire tre binari:
– RAI deve erogare direttamente e senza eccezioni i propri contenuti dal proprio portale
– RAI deve mettere a disposizione dei listini wholesale uguali per tutti per la pubblicazione dei suoi contenuti su portali di informazione di operatori terzi
– l’operatore monopolista non può attuare discriminazioni tariffarie, dando meno banda agli utenti degli operatori concorrenti e/o facendogliela pagare più cara.
Che l’attuale bozza di Contratto di servizio vada rivista nei suoi punti fondamentali lo ha dichiarato ieri anche l’Autorità TLC (AGCOM). Il suo presidente Corrado Calabrò ha da un lato sottolineato come “niente è ancora stato firmato da entrambe le parti e tutto è riesaminabile” e dall’altro ha chiesto che il Contratto sia più specifico e meno nebuloso, che quindi siano maggiormente definiti gli obblighi della RAI. Scopo della revisione è anche avvicinare il Contratto alle linee guida di riforma della RAI sulle quali, come noto, il ministero TLC ha attivato una Consultazione pubblica accessibile online.
Banda larga come servizio universale
Ma il puzzle che andrà a comporsi entro il 2007 riguarderà anche i testi unici sulle TLC e sulla televisione, dove l’impulso al cambiamento arriva dalla necessità di capire e cavalcare le possibilità della convergenza tecnologica in atto.
Sul fronte della televisione, ha spiegato Gentiloni, l’idea è “affrontare due questioni: l’iperconcentrazione delle risorse economiche e la regolamentazione delle frequenze al fine di abbattere barriere d’ingresso alcune volte insormontabili”. Secondo Gentiloni aprire il mercato televisivo è essenziale per il futuro sviluppo del settore.
Sul fronte della banda larga Gentiloni ha parlato di “priorità del Governo”. “È necessario – ha dichiarato – affermare un diritto di accesso alla banda larga come servizio universale”.
Come noto il Governo ha già promesso una copertura totale del territorio italiano con il broad band entro fine legislatura. Promuovere la connettività veloce al livello di servizio universale, come da anni chiedono con insistenza i consumatori, significa renderla di fatto un “diritto” per ogni italiano.
Questo, naturalmente, porta con sé nuovi obblighi per gli operatori: se andrà in porto il progetto di Gentiloni saranno infatti questi ultimi a dover assicurare la copertura anche in quelle zone dove non è garantito il ritorno economico. Per questo Gentiloni ha aggiunto che è necessario da un lato offrire a chi investe “una giusta remunerazione” e dall’altro “creare concorrenza e non barriere di ingresso”.