Qualche tempo fa, la procura di Genova avviò un procedimento penale ai danni del direttore de Il Secolo XIX e del Corriere Mercantile, Lanfranco Vaccari (53 anni): la motivazione alla base di questo provvedimento sarebbe stata la pubblicazione dell’identikit del “maniaco dell’ascensore”, personaggio che avrebbe angosciato il capoluogo ligure per almeno un paio d’anni. La conseguenza fu la pena da 117 giorni di carcere, tramutata poi in una multa da oltre 5.000 euro, ai danni non solo del direttore Vaccari, ma anche dei 13 collaboratori dello stesso, che avrebbero aiutato il coordinatore nell’impresa condannata, se pur apparentemente utile a scovare il “cattivo” più velocemente (e, soprattutto, con il benestare della cittadinanza, ragionevolmente preoccupata per le proprie giovani figlie). E proprio in virtù di questa presunta utilità, il direttore de Il Secolo XIX, sostenuto, tra gli altri, dall’Ordine Giornalisti e dal Gruppo Cronisti, aveva lanciato un appello, denunciando la negata libertà di stampa e invocando quel “fairplay giornalistico”, a suo parere in evidente via d’estinzione.
Sabato scorso il Corriere della Sera, ha pubblicato l’articolo secondo il quale il presunto maniaco avrebbe acquisito non solo un volto, ma anche un nome: E. B., il quale è stato condannato a 14 anni e 8 mesi dal Gup Adriana Petri, in seguito a violenze sessuali nei confronti di 25 ragazzine tra i 12 e 15 anni. Inoltre, come scrive Repubblica.it si sarebbe trattato “di un italiano che corrisponde esattamente all’identikit che la polizia aveva fornito in passato”. Dunque il volto pubblicato da Vaccari sarebbe potuto essere di effettiva utilità alla cittadinanza genovese, ma questa efficacia non sarebbe stata riconosciuta. (Marco Menoncello per NL)