Il futuro della radio è on demand? Alcuni indicatori, come il Rapporto Miller che negli USA preoccupa i broadcaster e fa discutere i centri media, sembrerebbero indicare uno sviluppo della radio nella direzione di soluzioni alla Spotify o Pandora, integrando conduzione/intrattenimento/informazione con scelte musicali personalizzate. In sostanza tutti ascolteranno la stessa conduzione, ma con innesti musicali differenti in funzione della profilazione di ogni utente, cosicché ciascuno di noi avrà la “radio perfetta”.
Tuttavia, recenti esperienze televisive (ancorché eterogenee) dimostrano il flop di soluzioni pay per view ed un progressivo ritorno alla tv generalista. E’ il cd. “effetto YouTube”: l’eccesso di contenuti a disposizione stordisce l’utente riconducendolo verso una fruizione condizionata da scelte altrui. La tv lineare, in sostanza.
Da qui discende la scuola di pensiero che, alla lunga, anche per la radio sarà confermata la comunicazione verticale (da uno a molti) piuttosto che quella reticolare (da molti a molti), ancorché declinata nel paradigma tipico IP “molte stazioni per (relativamente) pochi utenti”, che si contrappone a quello delle emittenti via etere “(relativamente) poche stazioni per molti utenti”.
La verità è che in questa fase di completa mutazione degli schemi sociologici è impossibile ipotizzare scenari futuri dotati di sufficiente stabilità.
D’altra parte, una volta la vita di una grande industria si conteggiava in intere generazioni: la prima creava, la seconda manteneva, la terza distruggeva.
Oggi, l’equivalente sul web, l’over the top, non raramente conclude il proprio ciclo in tre lustri (Twitter) o anche meno (Myspace).