Paolo Garimberti è l’uomo della concordia, il punto d’incontro, di convergenza tra parti politiche che sarebbero capaci di litigare persino sul nome del responsabile catering di Montecitorio. A nove mesi dallo scioglimento del Consiglio d’Amministrazione presieduto da Claudio Petruccioli, il nome è stato trovato. A proporlo è stato Dario Franceschini, timido neo segretario del partito Democratico, che immediatamente (e questo è un precedente storico) ha trovato d’accordo i suoi dirimpettai di schieramento, primo tra tutti il vecchio volpone Gianni Letta, che ha dato il nulla osta alla presentazione di Garimberti come candidato alla presidenza, dandogli di fatto l’investitura e garantendogli i due terzi dei voti in CdA.
Erano mesi che ogni nome proposto dai vari schieramenti incontrava veti nello schieramento opposto, erano mesi che si discuteva senza mai trovare un punto d’incontro su colui al quale sarebbe stata affidata la direzione di un baraccone lottizzato dove gli equilibri politici sono così labili, dove la lottizzazione va ricercata così indietro nel tempo e quindi interiorizzata, presente nel dna dell’azienda. Tanti ne erano sfilati sulle pagine dei giornali e dei siti web, nomi di caratura e fantocci di partito, fino ad arrivare al centro di gravità rappresentato da Garimberti. È incredibile come tutti, nessuno escluso, nei due schieramenti guida della politica italiana, si siano espressi favorevolmente alla nomina dell’ormai ex editorialista di Repubblica. Eppure c’è di mezzo Repubblica, certamente una testata invisa all’attuale governo, che invece ha accolto con favore la possibilità di candidare Garimberti. Forse Franceschini neanche se l’aspettava di fare bingo in questo modo proponendo il suo nome, o forse lo sapeva per certo, dopo aver consultato qualche grande vecchio, qualche rappresentante dei poteri forti. Eppure, alla fine, l’accordo c’è stato. E anche il Pdl, dove sin dall’inizio sapevano che, perlomeno sul nome del presidente Rai, avrebbero dovuto fare un passo indietro, ha accolto con gioia la nomination di un vecchio giornalista, esperto e moderato, sinistroide ma non inviso all’establishment, rappresentante di quel prototipo di giornalismo che, seppur d’alto livello, mira a quel bipolarismo informativo che escluderebbe, caccerebbe via, eliminerebbe dal discorso politico, quei gruppi minori e disturbatori che minerebbero il menage tra destra e centro-sinistra. E alludiamo, in primis, ad Antonio Di Pietro e alla sua fama di guastafeste persino in casa sua, dove il suo potere elettorale cresce esponenzialmente facendo venire a galla sempre più le falle, numerose, di un Partito Democratico, creato come perfetta contropartita del Pdl e, in questo modo, suo omologo politico, nel male più che nel bene. Ma anche al redivivo Casini che, abbandonato il carro dei vincitori si è destinato automaticamente al buio politico, partendo dalle pagine del Corriere della Sera, il Giornale, arrivando ai tg di Rai e Mediaset, o Raiset che dir si voglia. Ed, infine, ai resti del terremoto avvenuto nella sinistra (per pietà non chiamatela sinistra radicale, lo fosse davvero…), implosa dopo l’exploit bertinottiano e tornata nelle tenebre dell’extraparlamentarismo.
Insomma, ancora una volta, il cammino verso l’appiattimento politico coadiuvato dall’appiattimento informativo, sembra compiersi senza particolari intoppi. E dispiace che, oggi, il protagonista sia un professionista d’alto profilo come Garimberti, già inviato de La Stampa, direttore del Tg2 ed editorialista di punta di Repubblica. Fini, da una parte, lo ha definito una “garanzia di professionalità”, Capezzone, dalla stessa parte, “una buona notizia”. Gentiloni, dall’altra parte, sostiene laconicamente che “l’intesa su Garimberti premia l’indipendenza e l’autonomia professionale”. Persino Gasparri, nel suo solito stile (che è già difficile definire tale) poco ortodosso, a chi gli chiedeva un giudizio su Garimberti, ha risposto così: “Garimberti? Nel suo gruppo editoriale c’è molto di peggio…”. Che, in linguaggio politico, significa: c’è chi attacca molto più ferocemente la mia parte politica. (G.M. per NL)