da Franco Abruzzo.it
Richiamo del Garante privacy sulle cronache di Garlasco – Garante privacy: evitare accanimento informativo sulla vicenda di Luciano Pavarotti.
Roma, 30 ottobre 2007. Non basta omettere il cognome per tutelare un minore, se poi nell’articolo giornalistico vengono forniti particolari tali da renderlo facilmente identificabile. E’ quanto ha ribadito il Garante per la privacy (relatore Mauro Paissan) nell’accogliere il ricorso di una donna che riteneva di aver subito una violazione dei propri dati personali e di quelli dei figli da parte di un quotidiano. La vicenda – spiega la Newsletter del Garante – si riferisce a un fatto di cronaca nel quale era coinvolto un bambino che, conteso dai genitori separati, era poi stato ricoverato in ospedale. Motivo del ricorso della donna, il fatto che nell’articolo, pur non essendo citato il cognome degli interessati, venivano forniti numerosi particolari che avrebbero facilmente permesso l’identificazione dei soggetti: città in cui si è svolta la vicenda, nome, età e particolari dettagliati sulla salute del minore, nome ed età della sorella (pure minore), nomi ed iniziali del cognome dei genitori, loro professione, luogo di attuale residenza della madre. Il Garante ha ribadito che, anche quando si ricorre all’oscuramento dei nomi, se si forniscono dettagli tali da poter identificare la persona oggetto del fatto di cronaca si lede il suo diritto alla privacy, circostanza ancora più grave se si tratta di un minore. L’organismo di garanzia ha invece rigettato la seconda parte dell’istanza della donna, cioé la richiesta di cancellazione dall’archivio del quotidiano delle informazioni relative ai protagonisti della vicenda e di poter conoscere l’origine delle stesse: su quest’ultimo aspetto, in particolare, l’Autorità ha ribadito che va rispettato il segreto professionale del giornalista. Il Garante ha quindi vietato al quotidiano l’ulteriore utilizzo dei dati in questione “quale misura necessaria a tutela dei diritti e delle libertà fondamentali degli interessati” e ha stabilito, a carico della società editrice, un risarcimento di 300 euro. (ANSA).
Giornalisti: no ad artifici nella raccolta delle notizie.
Un giornalista non può usare “artifici” per svolgere la sua attività, e deve rendere nota la sua professione a meno che vi siano rischi per la propria incolumità o non possa, altrimenti, adempiere alla funzione informativa. É illecito, quindi, utilizzare per un servizio giornalistico brani di conversazioni ed immagini di colloqui privati ripresi con una telecamera nascosta senza che vi siano fondati motivi. Per questo il Garante ha ordinato ad una televisione via satellite di non trasmettere più un servizio giornalistico e di cancellarlo dal proprio sito Internet. Accogliendo i ricorsi di tre imam, ai quali si erano rivolti due giornalisti fingendosi coniugi di fede musulmana alla ricerca di un consulto religioso, il Garante ha ritenuto che siano stati violati i principi sulla protezione dei dati personali e del codice deontologico in materia di giornalismo e in particolare quelli relativi all’obbligo del giornalista di rendere note le finalità di un colloquio – ossia di star raccogliendo informazioni per un servizio giornalistico – e di evitare l’uso di “artifici”. Pur sussistendo, infatti, l’interesse pubblico a conoscere le opinioni delle guide religiose di alcune delle principali moschee italiane sull’uso del velo da parte delle donne, dalla ricostruzione dei fatti è emerso che i giornalisti non hanno informato gli imam né dell’uso della telecamera, né che le loro dichiarazioni sarebbero state utilizzate per un servizio giornalistico. Non pertinenti e non essenziali all’informazione sono risultate, inoltre, le traduzioni di brani di telefonate ricevute da uno degli imam durante i colloqui e riportate nel servizio. Non ricorreva, poi, sempre secondo l’Autorità, un’ipotesi prevista dal codice deontologico alla quale si appellava invece la società televisiva che consente al “giornalista che raccoglie notizie” di non qualificarsi solo nel caso in cui “ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa”. I due giornalisti televisivi, infatti, avevano reso nota, seppure genericamente, la propria professione agli imam che li avevano comunque ammessi nei loro uffici all’interno delle moschee ed avevano continuato a fornire informazioni, anche se gli stessi le annotavano su un taccuino.
In conseguenza dell’illecita raccolta dei dati il Garante ha vietato anche ad un quotidiano l’ulteriore diffusione sul proprio sito delle informazione relative ai due imam, in particolare le loro immagini, pubblicate in un articolo in cui si anticipava la messa in onda del servizio.
“Informare sì, ma nel rispetto delle persone”. Richiamo del Garante privacy sulle cronache di Garlasco.
Roma, 24 agosto 2007. “Informare su un assassinio – afferma il Garante privacy – è un diritto e un dovere professionale del giornalista. E informare non significa, ovviamente, limitarsi a diffondere solo le verità ufficiali. Ma è bene ribadire che c’è un limite invalicabile per ogni attività informativa: il rispetto della persona, della sua dignità. Tale rispetto deve essere garantito alla vittima, ai familiari, agli indagati e alle persone a vario titolo coinvolte. I giornalisti si astengano, in particolare, dal diffondere dati sensibili non essenziali alla comprensione della vicenda”.
Il richiamo del Garante si riferisce alle cronache dell’omicidio di Garlasco, che hanno suscitato alcune prese di posizione polemiche.
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Garante privacy: evitare accanimento informativo sulla vicenda di Luciano Pavarotti.
Roma, 25 ottobre 2007. “Rivelare e diffondere dettagli sulla salute di una persona, anche se nota, e insistere su particolari aspetti della sua vicenda privata ed umana ledono la dignità della persona e non sono giustificati sul piano dell’essenzialità dell’informazione. Ciò vale anche quando si tratta di una persona defunta”. L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (Francesco Pizzetti, Giuseppe Chiaravalloti, Mauro Paissan, Giuseppe Fortunato) interviene così su alcuni recenti servizi di stampa e tv dedicati alla figura di Luciano Pavarotti e alle sue vicende familiari.
Il Collegio del Garante, di fronte al modo con il quale si è informato su tali vicende raccomanda a tutti – giornalisti, medici, notai e avvocati – la massima attenzione e il più rigoroso rispetto delle norme, anche deontologiche, in materia.
In particolare si richiama l’osservanza di quanto stabilito dal Codice privacy e dal codice deontologico dei giornalisti, ma anche dalle regole che vincolano al segreto professionale altri soggetti, e si ribadisce, ancora una volta, che la diffusione di dati sanitari è illecita anche quando riguarda persone decedute.