A qualcuno sarà andato di traverso il boccone che stava masticando, qualcun altro avrà strabuzzato gli occhi incredulo, altri ancora avranno pensato che sarebbe l’ora di smettere di bere quando, intervistato dall’emittente France Culture, Robert Mènard, storico boss di Reporters sana Frontieres, si è lasciato andare a commenti irragionevoli nei confronti della tortura. Già, il leader della più grande associazione mondiale che si occupa della difesa della libertà in ogni sua forma e di quella intellettuale in particolar specie, ha parlato dei metodi utilizzati in guerra da alcuni governi per punire i responsabili di atti gravissimi, torturandoli con metodi ai limiti (se non vistosamente oltre) dell’inumanità. Il fatto è stato denunciato, in Italia, dal cronista de “il Manifesto”, Franco Carlini, che ha posto l’accento su come Mènard abbia, tra le righe, ma in realtà poco velatamente, legittimato l’utilizzo della tortura come metodo punitivo nei confronti dei responsabili d’orrendi crimini come il rapimento o l’omicidio. “Se avessero preso in ostaggio mia figlia, non ci sarebbe stato limite alcuno, ve lo dico e ve lo ripeto, all’uso della tortura”, avrebbe affermato Mènard, in riferimento all’increscioso episodio del giornalista del “Wall Street Journal”, Daniel Pearl. Il cronista fu sequestrato e assassinato in Pakistan alcuni anni addietro da un gruppo di terroristi. Il governo Musharraf, allora, come atto di provocazione nei confronti dei rapitori, fece arrestare e torturare decine di familiari dei presunti rapitori, con l’epilogo che tutti conoscono. Mènard, nel suo intervento, ha giustificato e legittimato quella decisione, ricorrendo, come afferma nel suo blog Gennaro Carotenuto, ad “argomenti tipici usati dai grandi torturatori della storia, i Videla, i Pinochet”. (Giuseppe Colucci per NL)