Frequenze. La “nuova” politica alla prova del caos. Giacomelli (MSE) rassicura, ma i fatti parlano

Il nuovo sottosegretario con delega alle comunicazioni del Ministero dello sviluppo economico (MSE), Antonello Giacomelli, si è contraddistinto, nel breve tempo fin qui trascorso dalla sua nomina, per un notevole interventismo in numerose occasioni pubbliche, quali convegni, seminari, incontri nazionali e internazionali.
In ognuno di questi consessi, Giacomelli ha voluto rimarcare soprattutto il proprio atteggiamento di rottura con il passato, a favore dell’inizio di una nuova fase politica, in piena sintonia con il clima “renzista” oggi in auge. Il dispiegarsi di questo nuovo corso sarebbe oltremodo necessario e urgente. All’arretratezza e caoticità dello scenario italiano delle telecomunicazioni, modellato da anni di inerzia e/o di estemporanee scelte a favore dell’uno o dell’altro soggetto di potere, si aggiunge l’improrogabilità di questioni e obiettivi imposti dagli organismi internazionali di settore e soprattutto da un’Unione Europea impegnata a realizzare la propria agenda digitale. Sul fronte delle reti di comunicazione elettronica, il sottosegretario si è per ora limitato a riproporre la solita minestra riscaldata dell’appello ad investire rivolto agli operatori, caldeggiando la costituzione dell’ennesimo “tavolo” di cui francamente non si sentiva la mancanza. Si registra poi l’intenzione di introdurre l’obbligo della predisposizione al collegamento a banda larga per gli edifici di nuova costruzione, ben poca cosa in un paese in crisi edilizia come il nostro. Il tutto in uno scenario in cui le prestazioni medie della rete fissa sono paradossalmente in discesa e gli operatori riescono a garantire sempre meno i livelli di servizio promessi. Se si passa poi alla storica questione delle “frequenze”, si deve rendere conto di una serie di dichiarazioni secondo le quali l’Italia ha ormai imboccato la strada della legalità, avendo intenzione di sistemare nel giro di pochi mesi quello che è stato compromesso in decenni di gestione “avventurosa” da parte di governi di ogni colore. Programma a dir poco ambizioso, che si scontra però con le numerose problematiche da affrontare. La prima spinosa questione riguarda il mancato coordinamento internazionale dello spettro. Com’è noto, tutto il processo di assegnazione dei canali della TV digitale è stato condotto tenendo conto delle sole esigenze interne, con il risultato che si sono create diffuse situazioni interferenziali nelle zone di confine: i contenziosi che ne sono derivati vedono l’Italia in una posizione di debolezza, in quanto per ovvi motivi nessuna delle frequenze assegnate è stato iscritta nel Registro internazionale di Ginevra. Per motivi non proprio misteriosi, la maggior parte di questi canali è stata affibbiata ad emittenti locali. Ma Giacomelli non si scoraggia. “La strategia che adotteremo” ha dichiarato “ci consentirà non solo di mettere l’Italia in grado di rispettare gli accordi internazionali sottoscritti, ma anche di riorganizzare il settore dell’emittenza locale eliminando ambiguità, dando certezza di risorse e superando un’eccessiva e ingiustificata saturazione dello spettro”. Non è dato conoscere i dettagli dell’uovo di colombo, ma chiunque conosca il settore e sia dotato di una certa dose di logica è già arrivato alle conclusioni: le frequenze verranno tolte ai malcapitati a cui sono state a suo tempo disinvoltamente assegnate, e alla folta platea degli improvvisati “operatori di rete” si imporrà di lasciar perdere o, se proprio ci tengono, di convertirsi in fornitori di contenuti. Detto, fatto? Non proprio, visto che finora per i risarcimenti è stata stanziata la favolosa cifra di 20 milioni di euro e si parla di decine di emittenti coinvolte nella “strategia”; la quale, alla fine, non pare così innovativa rispetto a quanto proposto da precedenti governi. L’unico fatto fortunosamente positivo, ma solo dal punto di visto della disponibilità spettrale, viene dall’esito dell’asta delle frequenze del dividendo digitale interno, prorogata opportunamente all’infinito dopo l’abolizione del beauty contest, che ha lasciato in mani statali un gruzzoletto di canali assai prezioso allo scopo di dirimere le grane internazionali. D’altra parte non è chiaro se l’esito dell’asta, con l’unico multiplex aggiudicato a Cairo Network, sarà sufficiente ad evitare un’altra spada di Damocle, ovvero la procedura di infrazione per mancanza di pluralismo nel passaggio al digitale terrestre (aperta nel lontano 2005…) Ma la storia non finisce qui. Come è noto, si pone anche il problema di conciliare le esigenze dei broadcaster con la prossima espansione spettrale dell’internet mobile nella banda dei 700 MHz. La lobby televisiva ha già cominciato a mettere le mani avanti, in vista del semestre italiano di presidenza dell’UE, proponendo al governo una serie di istanze non proprio d’avanguardia. E così tra web-tax, internet governance, enforcement del diritto d’autore e così via, perché non mettere in discussione anche la prospettiva non certo entusiasmante della coesistenza tra telco e broadcaster, in una porzione di spettro che potrebbe rappresentare l’ultima trincea della battaglia tra vecchia e nuova TV? Dall’altra parte, infatti, non si sono fatte attendere le opposte prese di posizione degli operatori TLC, che chiedono maggiori certezze in materia di future disponibilità spettrali. Vedremo chi saprà far pesare di più le proprie ragioni, anche se è indubbio che negli ultimi anni l’influenza politica delle telco abbia guadagnato qualche punto rispetto al settore televisivo. La conferma viene anche dalla bozza del nuovo Piano nazionale di ripartizione delle frequenze attualmente in consultazione pubblica al MSE, dove per la prima volta si parla di supplemental downlink e servizi mobili avanzati. Le prime uscite di Giacomelli in sede europea non hanno permesso di capire quale saranno gli orientamenti per il futuro. Del resto il sottosegretario ha incontrato Neelie Kroes, controversa rappresentante della vecchia Commissione Europea. Le istanze italiane, ora che il nostro paese inizia il suo turno di coordinamento delle politiche continentali, dovranno d’ora in poi necessariamente conciliarsi con gli indirizzi che scaturiranno dalle appena rinnovate istituzioni dell’UE. Dopo il consueto diluvio di parole, arriverà quindi presto l’occasione di verificare nei fatti la capacità del governo di attuare una reale ed efficace politica di indirizzo nel settore delle telecomunicazioni. (E.D. per NL)
 

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