Come noto, il 13 aprile scorso, il Comitato Nazionale Italia Digitale (Cnid), il comitato che racchiude Regioni, Ministero per lo Sviluppo Economico, Agcom e associazioni delle tv locali e nazionali, ha approvato il calendario che anticipa di sei mesi la data dello switch off generale sul territorio italiano.
Non più il 31 dicembre 2012, ma il 30 giugno, come ampiamente pronosticato, con Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, più la provincia di Viterbo, che passeranno in toto al digitale entro la fine di quest’anno e Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia che completeranno lo scacchiere entro il primo semestre del 2012. I motivi di questo anticipo vengono dalla necessità di completare il passaggio nel più breve tempo possibile, per essere (almeno relativamente) al passo coi tempi con i nostri vicini europei e per non rischiare di impantanarsi nei mille problemi che questo percorso sta portando con sé. Due di questi, però, potrebbero portare non pochi grattacapi e rischiano pesantemente di bloccare la corsa al DTT. Uno è certamente il beauty contest, ossia il concorso di bellezza per l’assegnazione delle frequenze del dividendo interno; l’altro, ancor più scabroso, è rappresentato dall’asta per i canali 61-69 da destinare alla banda larga. Nel corso della riunione del Cnid, infatti, il ministro Paolo Romani è intervenuto sostenendo – come riportato dal quotidiano Milano Finanza – che il Presidente della Repubblica avrebbe espressamente richiesto di blindare il testo del cd. Decreto Omnibus (D.L. 34/2011) su cui le tv locali puntavano decisamente per ottenere almeno il doppio (se non il triplo) dei 240 milioni di euro che lo Stato intende riservare loro al termine dell’asta per le frequenze da destinare alla banda larga mobile. Asta che secondo il Ministero frutterà alle casse dello Stato 2,4 miliardi. Il catenaggio giuridico porterà certamente ad una nuova battaglia (le locali hanno presentato uno studio compiuto su un campione di 150 tv che dimostrerebbe come l’indennizzo che esse avrebbero dovuto ricevere non avrebbe potuto/dovuto essere inferiore al 20% dei proventi, ossia quei 480 milioni che si sarebbe contato di racimolare) e, di conseguenza, all’allungamento dei tempi per l’asta. Allungamento che, però, non sembra preoccupare eccessivamente il Governo, che pensa di ottenere quella somma (2,4 miliardi) dagli annunciati tagli ai ministeri, e inserirla direttamente in Finanziaria. I proventi dell’asta, invece, potrebbero essere incassati anche con un paio di mesi di ritardo rispetto alla data fissata per il 30 settembre, quindi probabilmente nel 2012, anche perché gli operatori di tlc che le erediteranno (non gratis come i colossi tv, ma investendo fior di miliardi di euro) – con ogni probabilità, Telecom, Wind, Vodafone e PosteMobile – hanno ben chiarito che non intendono investire patrimoni fin quando non avranno la certezza che le frequenze saranno liberate dagli operatori locali. (L.B. per NL)