Con il Decreto Ministeriale del 20 marzo 2007 continua la politica di reciproca collaborazione tra fisco e contribuente, nata a seguito degli accordi stretti tra amministrazione finanziaria e associazioni di categoria ed ordini professionali. La novità maggiormente evidente del richiamato decreto consiste nella previsione di indici di adeguamento (c.d. indici di normalità economica) delle dichiarazioni dei compensi/ricavi ottenuti dai contribuenti rispetto agli studi di settore di riferimento. Nella previsione precedente al 1993, anno di introduzione di tale meccanismo fiscale, la materia imponibile emergeva dalle semplici dichiarazioni contabili, producendo come effetto distorto quello per cui un contribuente “onesto” poteva subire un accertamento sulla base di errori meramente formali. L’istituzione degli studi di settore come strumento di calcolo “è utile a circostanziare la posizione fiscale effettiva del singolo contribuente in relazione alle caratteristiche oggettive della sua attività” (questo secondo quanto afferma l’Agenzia delle Entrate – guida agli studi di settore). Tuttavia, l’esigenza che siffatto inquadramento rispecchiasse l’effettiva posizione patrimoniale del cittadino ha imposto l’adozione di quegli indici di congruità, ora sostituiti dagli indici di normalità economica. Come tutte quelle innovazioni che non destino troppo scalpore risultando invasive nei confronti del contribuente, nei primi tempi di applicazione si è stabilito che:
1. per gli studi di settore in evoluzione a partire dal 2007, l’ammontare dei compensi/ricavi sarà calcolato dal software dell’AdE Gerico, tenuta in considerazione l’eventuale incoerenza con gli indici;
2. per gli studi di settore anteriori al 2007, l’ammontare dei compensi/ricavi sarà calcolato tenendo conto dei risultati degli indici solamente nel caso in cui l’imponibile sia maggiore al livello minimo dello studio di settore di riferimento. In caso contrario l’indice dovrà essere disapplicato, valendo al suo posto il valore di congruità stabilito dallo studio di settore. Cosa succede, però, se la propria dichiarazione risulta incoerente con quanto previsto dagli indici di normalità economica? La Legge prevede che la loro valenza probatoria ai fini processuali equivale a quella delle presunzioni semplici (art. 2729 c.c.). Occorre, pertanto, che tali presunzioni siano “gravi, precise e concordanti” per dimostrare la non attinenza della dichiarazione del contribuente. La moderazione con cui si è inteso considerare il ruolo degli indici nel processo civile appare oltremodo condivisibile se si pensa che le sanzioni per l’omessa dichiarazione dei dati rilevanti ai fini degli studi di settore vanno da 258,00 a 2065,00 Euro. Sanzioni inasprite del 10% in caso di mendace dichiarazione o di indicazione di cause di esclusione non esistenti. (L.R. per NL)