La manovra correttiva di bilancio contenuta nel dl 50/2017 è stata convertita in legge ed approvata alla Camera il 1° giugno. Tra gli emendamenti introdotti in sede di conversione, quello sulla “proceduta di cooperazione e collaborazione rafforzata” tra multinazionali e fisco, già soprannominata web tax. Il testo di legge emendato non va poi così lontano dall’ipotesi di un accordo preventivo sul regime fiscale caldeggiata da più parti, tra cui il direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi: l’art 1 bis prevede che i soggetti di cui all’art 73, comma 1, lettera d del TUIR, cioè le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato “che appartengono a gruppi multinazionali con ricavi consolidati superiori a 1 miliardo di euro annui e che effettuino cessioni di beni e prestazioni di servizi nel territorio dello Stato per un ammontare superiore a 50 milioni di euro annui […] possono avvalersi della procedura di cooperazione e collaborazione rafforzata di cui al presente articolo per la definizione dei debiti tributari dell’eventuale stabile organizzazione presente sul territorio dello Stato”. Per effetto dell’emendamento, le società multinazionali che operano anche in Italia potranno interloquire con l’Agenzia delle Entrate per stabilire se sussistono i requisiti di una “stabile organizzazione” per la propria attività nel territorio nazionale e, conseguentemente, accedere alla procedura di cooperazione. All’interno della procedura, da un lato può essere applicato l’istituto dell’adempimento collaborativo del dlgs 128/2015, dall’altro lato possono essere accertati i debiti tributari delle stabili organizzazioni per i periodi di imposta per cui i termini per la dichiarazione dei redditi sono scaduti. In tal modo, la definizione dell’ammontare di tasse (cioè, l’accertamento) avviene in contraddittorio e l’adesione all’accertamento comporta il dimezzamento di eventuali sanzioni amministrative la non punibilità per il reato di omessa dichiarazione. Nella genericità della norma emerge chiaro il profilo specifico che si vuole regolamentare, ossia i rapporti fiscali tra lo Stato e i c.d. Internet Giants, come Google, Amazon o Facebook –per citarne alcuni. Le multinazionali del web sfuggono ai debiti tributari a causa della difficoltà a inquadrare la loro attività secondo il criterio della stabile organizzazione e sono agevolate nella scelta del regime fiscale perché possono mantenere la sede dove più conveniente operando in qualsiasi Stato con pochi dipendenti in pianta stabile (e fatturando diversi milioni di euro l’anno) salvo poi incorrere in sanzioni astronomiche per i reati di omessa dichiarazione dei redditi ed evasione fiscale, quando guardia di finanza e procura riescono a provare la connessione tra il fatturato e l’attività svolta in territorio Italiano. La web tax si propone di superare il contenzioso, che dovrebbe essere accessorio e invece è diventato quasi necessario, e nell’impossibilità di individuare un criterio sicuro di imposizione fiscale per questa realtà imprenditoriali fluide, sceglie la via del contraddittorio e dell’accordo. Il legislatore sembra fiducioso nel ritenere che lo sconto sulle sanzioni e l’esclusione dalle responsabilità penali siano incentivi sufficienti per spingere le imprese multinazionali a optare per il c.d. voluntary disclosure. Per l’applicazione della norma bisognerà attendere la conclusione dell’iter di conversione in legge del dl 50/2017: dopo l’approvazione in Camera dei Deputati, è ora in discussione nell’altro ramo del Parlamento, il Senato. (V.D. per NL)