Fiscale, giurisdizione di legittimità. Omessa dichiarazione. La responsabilità ricade (anche) sull’amministratore di fatto

La Corte di Cassazione conferma il proprio orientamento in base al quale il prestanome che non abbia facoltà gestorie della società ha un titolo di responsabilità mitigato nell’ambito del reato di omessa dichiarazione dei redditi, con interessanti risvolti in tema di doveri connessi alla rappresentanza societaria.

Con la sentenza n. 23425/2011, la Suprema Corte, infatti, avallava la tesi in base alla quale, nel delitto di cui agli agli artt. 110 c.p. e 5 D.Lgs n. 74/2000, debba essere ritenuto imputabile il soggetto che di fatto gestisce la società e non (in via esclusiva) il rappresentante legale. L’argomentazione espressa dagli Ermellini, infatti, prendeva le mosse da una puntuale valutazione delle circostanze di fatto in cui si svolgeva la vicenda deferita all’attenzione dei Giudici di primo e secondo grado. In particolare, il soggetto che veniva ritenuto colpevole dei reati fiscali ascritti risultava essere – anziché il prestanome appositamente nominato – l’amministratore di fatto della società, cioè l’effettivo gestore dell’azienda che sovraintendeva alla redazione delle buste paga dei dipendenti, autorizzava indirettamente i mandati di pagamento piegando l’attività esercirata ai propri interessi. In un tale contesto, emerso a seguito delle indagini compiute dalla Guardia di Finanza, la “testa di paglia” risultava un dipendente del tutto estraneo all’amministrazione dell’impresa, con la conseguenza che le Corti territoriali avevano legittimamente contastato la fattispecie di omessa dichiarazione al soggetto di fatto a capo dell’azienda indagata (poi condannato). Nel merito, veniva quindi sconfessata, in prima battuta alla Corte d’Appello e successivamente da Piazza Cavour, l’assunto in base al quale – dello specifico reato omissivo – non poteva ritenersi responsabile – in via esclusiva – la persona fisica estranea alla rappresentanza della società. La ricostruzione operata dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza in esame, forniva conto di taluni elementi di valutazione sulla scorta dei quali il legale rappresentate appariva privo del potere di accedere alla documentazione contabile dell’azienda, essendogli sottratta qualsivoglia prerogativa in tema di presentazione della dichiarazione dei redditi dell’impresa che lo aveva insignito della carica sociale. Lo specifico titolo di responsabilità, pertanto, a rime obbligate, doveva essere del tutto differente (e mitigato) rispetto all’imputazione. Contrariamente, nell’argomentazione fornita dalla Suprema Corte, si sarebbe giunti ad una conclusione tanto iniqua quanto antigiuridica, costruita sulla base di un titolo di responsabilità oggettiva ricadente in capo al prestanome, rimanendo impunita la condotta (omissiva) di “colui che di fatto ha gestito la società”. Infatti – proseguiva il Collegio – nella fattispecie, al prestanome non risultava neanche attribuibile “il potere di compiere l’azione doverosa o di impedire che essa fosse omessa dall’amministratore di fatto (…) non disponendo neppure delle scritture contabili e degli altri documenti societari”, rappresentando per il Collegio di legittimità “l’etichetta” soccombente rispetto “al concreto espletamento della funzione”. Dunque, il soggetto formalmente investito della rappresentanza sociale avrebbe dovuto rispondere nei confronti della persona giuridica rappresentata ai sensi dell’art. 2392 cod. civ., relativamente a specifici obblighi connessi all’esercizio della propria funzione afferenti alla conservazione del patrimonio sociale ed all’onere di “impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi”. Ecco che allora la Cassazione è giunta ad identificare nel prestanome il soggetto che, comunque, combinando la richiamata norma civilistica con l’art. 40 cpv. cod. pen., potrebbe in taluni casi rispondere di concorso nel reato “a condizione che ricorra l’elemento soggettivo proprio del singolo reato”, nel caso in cui non si adoperi per impedire un evento dannoso per l’impresa. In conclusione, la testa di legno, beneficiaria di un particolare trattamento di favore alla stregua delle specifiche norme di diritto commerciale e tributario puntualmente richiamate dai giudici intervenuti, mantiene pur sempre una responsabilità concorrente con quella dell’amministratore di fatto nei reati commessi in nome e per conto dell’impresa rappresentata o, laddove sia evidente la propria estraneità alla gestione dell’impresa, individuabile attraverso il ricorso alla figura del dolo eventuale, posto il comune intendimento della giurisprudenza in base al quale il prestanome, accettando la carica, ne abbia anche accettato i rischi connessi. Nonostante il consueto “cerchiobottismo” della giurisprudenza, la pronuncia sembrerebbe proprio di quelle che dovrebbe far riflettere. (S.C. per NL)

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