E’ stato il sito Bloomberg ad annunciarlo in anteprima. La decisione di Google di abbandonare il mercato cinese, tanto attesa negli ultimi giorni, è realtà.
La data prevista per lo switch off definitvo dovrebbe essere il prossimo 10 aprile, intanto Mountain View ha già iniziato le pratiche di trasloco. Già, perché coloro i quali tenteranno da oggi a collegarsi a Google.cn saranno automaticamente reindirizzati verso la versione di Hong Kong del colosso americano, Google.com.hk. Senza censure e senza i filtri imposti dal governo di Pechino. Chi l’ha provato, però, collegandosi dalla Cina, ha potuto notare l’impossibilità a risolvere alcune query, segno che le contromosse degli esperti informatici di Pechino non hanno tardato ad arrivare. La notizia del lungo addio, ormai praticamente ufficiale, di Google alla Cina ha già fatto il giro del mondo. Se l’agenzia cinese Xinhua, tra i primi ad annunciare la rottura, l’ha definito "un errore gravissimo", l’agenzia Reuter ha riportato i mugugni di alcuni dipendenti della sezione cinese di Mountain View, preoccupati per la loro sorte e certi che questo sia il preludio ad un blocco da parte cinese dell’accesso a Google "in toto". La scelta dei vertici di Google, al di là delle ragioni concrete (l’intrusione – a gennaio – di hacker cinesi nei database dell’azienda e la successiva rottura "diplomatica", con tanto di rimozione dei filtri censori che da quattro anni Google accettava supinamente pur di lucrare nel mercato potenzialmente più grande del globo), restituirà un ritorno d’immagine non indifferente. I tempi cambiano, le opinioni pubbliche mondiali chiedono cose diverse e, così come oggi è importante – anzi fondamentale – per un governo dare di sé un’immagine ecologista, seppur fittizia (basti pensare a Mrs Obama che pianta e coltiva vegetali nell’orto della Casa Bianca e si fa immortalare mentre impone al presidente un’alimentazione bio), per un’azienda multinazionale è un bisogno sempre più impellente quello di mostrarsi al passo con il rispetto dei diritti umani e liberarsi di un’immagine "collaborazionista" con un governo autoritario come quello cinese. Certo è, però, che un primo calcolo sommario parla di perdite economiche nell’ordine di 600 milioni di dollari. Al termine – forse – di quest’intrigo internazionale, chi gongola è certamente Baidu, il principale concorrente indigeno del colosso americano (sarebbe più corretto dire, forse, che Google è il principale concorrente di Baidu, che in Cina è leader indiscusso del mercato). Secondo la Cnbc, il provider cinese, ad addio di Google avvenuto, fagociterà circa il 95% dell’intero mercato locale. (G.M. Per NL)