Agcom ha pubblicato il PNAF 2018, che accompagnerà la migrazione della banda 700 MHz dalle tv alle telco. Ma ha già messo le mani avanti: non funzionerà, stando così le cose. Nel merito, come noto, alle tv rimarranno 14 canali: 10 nazionali e 4 per il trasporto delle locali, oltre al mux promiscuo VHF RAI, che veicolerà sia la terza rete regionale che le tv locali che non troveranno spazio sui network provider puri.
Agcom nel comunicato stampa che ha annunciato il parto del Piano aveva messo in guardia sulle criticità del medesimo, senza però enunciarle chiaramente.
A spiegarle ci ha però pensato il commissario Antonio Nicita in un’intervista a Radiocor: “L’attuale ripartizione del piano tra reti nazionali e reti locali è il risultato dell’applicazione della riserva di un terzo dello spettro alle emittenti locali, un vincolo normativo che non è il risultato di un’analisi di effettivo fabbisogno e che potrebbe quindi inficiare l’allocazione efficiente dello spettro nel nuovo contesto di refarming. Per tale ragione l’Autorità, contestualmente all’approvazione del piano, ha segnalato oggi a Governo e Parlamento le possibili distorsioni derivanti dall’attuale quadro normativo e la necessità di superarlo in tempi rapidi per consentire una revisione del piano che tenga conto di effettivi fabbisogni in vista di un’allocazione efficiente delle risorse spettrali”.
Nicita ha poi spiegato che “analoghe criticità sono state riscontrate in relazione ai criteri di conversione. Un pronto intervento legislativo potrà permettere il superamento di queste criticità con una conseguente ridefinizione della tempistica dei vari adempimenti da parte di Agcom e Mise, pur nel rispetto dei tempi complessivi previsti dalla Legge di Bilancio 2018“.
Eppoi ci sono i ricorsi di Mediaset e Cairo contro la delibera Agcom che reca le regole dell’asta 5G. Ricorsi che Agcom invita a non sottovalutare, probabilmente soprattutto in relazione a quello di Cairo, che si è visto assegnato alla gara per il dividendo interno un diritto d’uso ventennale revocato dopo pochi anni, seppur dietro indennizzo. Ma chi investe come ha fatto il patron di La 7 su un piano industriale di due decenni non lo fa per venire indennizzato dopo meno di un lustro…
Infine c’è il nodo della conversione dei diritti d’uso nazionali in capacità trasmissiva. Allo stato non esiste una definizione perfetta di “capacità trasmissiva” per gli usi del caso.
Come gestire quindi il processo di abdicazione della titolarità di un diritto d’uso che per quaranta anni ha fondato il sistema radiotelevisivo italiano?
L’abbiamo chiesto al Mise ed abbiamo ricevuto questa risposta: “Non ne abbiamo idea. Chiedete ad Agcom”.