Il giurista Mauro Masi introduce il tema della post-verità; come hanno reagito i governi dell’Africa, India e Turchia rispetto ai regimi democratici.
“Nell’ultimo anno il Camerun, il Ciad, la Repubblica del Congo, Gabon, Cambogia e Uganda hanno bloccato l’accesso ai social network e a Internet in generale durante i periodi elettorali”, spiega Mauro Masi (già d.g. RAI, commissario straordinario della SIAE e delegato italiano per la proprietà intellettuale nell’ambito della Organizzazione europea dei brevetti) sul quotidiano Italia Oggi del 15/04/2017. Lo stesso evento, secondo Charlotte Cross, docente dell’Open University UK, si è verificato nell’ultimo anno con “81 sospensioni politiche dell’accesso a Internet in paesi considerati democratici tra cui India (e Turchia)”. Nel 2016 si sono sollevate parecchie critiche sul fenomeno della rete detto “post-verità” in quanto strumento di diffusione delle «fake news», notizie che il pubblico della rete assume in forma dogmatica e che possono avere effetti imprevedibili ed influenzare l’andamento delle campagne politiche. Secondo questa teoria, infatti, le elezioni di Donald Trump sarebbero state pilotate dagli influencer della rete, sicché, senza «fake news», l’attuale presidente degli USA avrebbe potuto essere un altro. Negli Stati Uniti si sta cercando di ostacolare la diffusione di notizie false a partire dagli stessi operatori come Facebook, Twitter e Google, che sta cercando di arginare il fenomeno aggiungendo l’etichetta “fact check” per distinguere le fonti vere da quelle false (esaminate dall’autore secondo ciò che è comparso sul web). La verifica dovrebbe portare il lettore ad assumere un occhio critico sulle nozioni comparse in rete. In Europa, invece, la tendenza è quella di costituire figure garanti della verità che possano controllare le notizie on-line per andare a contrastare le informazioni mirate ad hoc, soprattutto in ambito di elezioni, in modo che il pubblico possa accedere ad un’informazione più concreta dei fatti. (S.H. per NL)