Quella di Di Stefano è stata una vittoria di Pirro? Veramente l’imprenditore romano ha avuto una bicicletta quando meritava una Ferrari? Nel settore un po’ tutti se lo chiedono, anche perché, a quasi sei mesi dal termine fissato dal MSE-Com per l’avvio delle trasmissioni, Europa 7 continua ad essere "la tv che non c’è". Ma questa volta per scelta, perché la frequenza per iniziare a trasmettere ci sarebbe. E invece l’incontentabile Di Stefano ha rifiutato compromessi ed ha avuto l’ardire di guardare in bocca al caval donato (visto che è l’unico privato in Italia ad aver ricevuto, prima delle nuove assegnazioni DTT, una frequenza nazionale). Così ha impugnato al TAR il provvedimento di assegnazione su scala nazionale del canale VHF 8 che il MSE-Com, battuto avanti al Consiglio di Stato, aveva firmato ad Europa 7 in data 11 dicembre 2008, cioè quasi un anno fa, sfruttando la necessità di adeguare la canalizzazione VHF italiana allo standard europeo. Con quel provvedimento la P.A., in ossequio alla decisione finale dei supremi giudici amministrativi, consentiva ad Europa 7 di avviare su scala nazionale trasmissioni analogiche o digitali (nei territori progressivamente sottoposti a switch-off) su un’unica frequenza (appunto il canale VHF 8). Il termine per l’avvio delle trasmissioni avrebbe dovuto essere il luglio scorso (tanto che a giugno gli operatori televisivi e radiofonici digitali hanno dovuto correre come dei dannati per “liberare” il canale VHF 8); ciononostante, ad oggi, la tv di Di Stefano è ancora un ectoplasma. Non che non ce lo si aspettasse, visto che l’editore della rete potenziale all’indomani dell’assegnazione si era nuovamente rivolto ai giudici amministrativi chiedendo un’integrazione dell’attribuzione, posto che, a suo dire, la risorsa VHF 8 non avrebbe consentito il livello minimo di illuminazione previsto dalla concessione del 1999 (80% del territorio e 95% della popolazione), raggiungendo al più il 10% del territorio ed il 18% della popolazione (il tutto documentato con una perizia di parte). Il MSE-Com aveva controbattuto che il canale attribuito, se opportunamente impiegato (cioè puntualmente pianificato a livello d’installazione), avrebbe agevolmente consentito di raggiungere il 70% della popolazione, mentre la capillarizzazione del servizio avrebbe potuto essere rinviata ad una fase successiva. Posizioni che già in un precedente articolo sulla vicenda avevamo definito “inconciliabili, più che altro perché di principio”. Che il progetto nel cassetto da dieci anni dovesse rimanere tale lo si era compreso poi dalle dichiarazioni primaverili di Di Stefano, che aveva evidenziato come, con una consistenza impiantistica limitata, il fallimento di Europa 7 sarebbe stato "sicuro" in sei mesi, con ciò suscitando critiche feroci da parte di coloro che rinvenivano in tale dichiarazione la conferma che l’obiettivo dell’imprenditore non fosse mai stato quello di realizzare una tv "di contenuti". Sta di fatto che Di Stefano (foto a lato), a quanto pare, ha deciso di starsene veramente con le braccia conserte, in attesa che il viceministro Paolo Romani sbrogli la matassa. Che è veramente arruffata. Perché, effettivamente, il MSE-Com dovrebbe soddisfare l’interesse legittimo di Europa 7 a realizzare una rete concretamente nazionale in conseguenza del suo posizionamento utile nella graduatoria per le concessioni nazionali del 1999 (il cui relativo bando è la madre del guaio). Sennonché già recuperare per la bisogna il canale VHF 8 è stata un’impresa, che oltretutto non è ancora chiaro quanto sia costata agli altri operatori che, come stiamo vedendo con le assegnazioni dei diritti d’uso per i canali digitali in Piemonte, Trentino Alto Adige, Lazio e prossimamente Campania, hanno dovuto e/o dovranno sostenere molti sacrifici, rinunciando a copertura o capacità trasmissiva. Figurarsi quindi anche solo ipotizzare un’integrazione di assegnazione per Europa 7. Oltretutto a chiedere ampliamenti delle rispettive assegnazioni ci sono ora anche Retecapri (per un secondo mux), Telecom Italia Media Broadcasting (per il quarto mux) e almeno un’emittente locale (Telecupole, per un secondo mux piemontese). Paolo Romani è cosciente di camminare sulle uova, perché anche un solo ricorso giudiziale accolto in primo grado senza sospensione cautelare in appello potrebbe comportare il collasso dell’intera procedura per l’assegnazione delle frequenze digitali. E pure Di Stefano questo lo sa bene ed è probabilmente per ciò che se ne sta seduto tranquillo ad aspettare, visto che in questo pasticcio il MSE-Com si è ficcato da solo. Anche perché l’imprenditore ha ben chiaro che, di qui a poco, la questione esploderà e, volente e nolente, qualcuno la patata bollente la dovrà prendere in mano. L’art. 52 c. 3 del D. Lgs 177/2005, dispone infatti che “In caso di mancato rispetto dei principi di cui all’articolo 42, comma 1, o comunque in caso di mancato utilizzo delle radiofrequenze assegnate" la P.A. (nel caso di specie il MSE-Com) dispone la revoca o la riduzione dell’assegnazione. Tali misure sono adottate qualora il soggetto interessato, "avvisato dell’inizio del procedimento ed invitato a regolarizzare la propria attività di trasmissione non vi provvede nel termine di sei mesi dalla data di ricezione dell’ingiunzione”. L’art. 42 c. 1 a cui rimanda l’art. 52 c. 3, prescrive in capo ai soggetti che svolgono attività di radiodiffusione l’obbligo di ”assicurare un uso efficiente delle frequenze radio ad essi assegnate”. Il dipartimento Comunicazioni del MSE dovrà (e non “potrà”!) diffidare Europa 7 dal persistere dal disattendere l’obbligo di fare un “uso efficiente” della capacità trasmissiva, assegnando il termine di sei mesi per desistere dal comportamento, dopodiché – registrando la persistenza delle violazione dell’obbligo – dovrà (e non “potrà”!) provvedere alla revoca dell’assegnazione o alla riduzione. Non sappiamo se il procedimento di revoca o riduzione dell’assegnazione della frequenza VHF 8 sia già stato avviato o se, come pare più probabile, il MSE-Com stia attendendo la decorrenza dei sei mesi per ognuna delle aree tecniche interessate dallo switch-off per procedere a singole istruttorie di revoca o riduzione delle assegnazioni. Quel che è certo è che, avendo Europa 7 già impugnato al TAR il provvedimento di assegnazione del dicembre 2008, essa avrà gioco facile a presentare ricorso per "motivi aggiunti", stimolando una nuova azione giudiziaria che il MSE-Com teme come il diavolo. Sarà infatti inevitabile che dopo l’avvio del procedimento di revoca/riduzione dell’assegnazione, in caso di mancata regolarizzazione (che per Di Stefano sarà facile qualificare come determinata dall’insufficienza tecnica della risorsa assegnata) sia emesso un provvedimento amministrativo che, a sua volta, sarà ragionevolmente oggetto di impugnazione avanti alla medesima autorità giudiziaria (probabilmente con istanza cautelare di sospensione dell’efficacia). E quel che succederebbe se i giudici amministrativi dessero nuovamente ragione a Di Stefano è facile immaginarlo e fa venire l’orticaria a Paolo Romani. Il MSE-Com difficilmente avrebbe un altro coniglio (ancorché spelacchiato) da tirar fuori dal cilindro e semmai lo facesse sarebbe travolto da ricorsi uguali e contrari da parte degli altri operatori. E allora non ci sarebbe altra soluzione che riconoscere ad Europa 7 l’ennesimo risarcimento economico. Oppure cambiare le regole nel bel mezzo del gioco. Che poi, in Italia, non sarebbe una novità.