Giornalisti come “vera casta”, giornalisti come prossimo obiettivo dichiarato del V-Day, giornalisti come corporazione. Esce l’ennesima, recente, pubblicazione dedicata al ruolo dei professionisti dell’informazione, sempre più al centro del mirino di coloro che si dichiarano stanchi degli sprechi e delle disfunzioni, dell’asservimento e della spettacolarizzazione, dell’informazione italiana.
Uscirà nelle librerie il prossimo 20 gennaio il nuovo libro di Luigi Bacialli: “Casta stampata”, ovvero come la “corporazione” dei giornalisti debba imparare a prendersi meno sul serio. Non c’è traccia in questa pubblicazione, edita da Mursia, di finanziamenti pubblici esagerati, di lottizzazione delle cariche o raccomandazioni: si tratta si una critica un po’ più soft, riferita, appunto, agli errori deontologici, alle “papere” e ad alcune furbizie che hanno riguardato i giornalisti italiani negli ultimi decenni. L’autore, Bacialli, è il direttore editoriale della superstation tv “Canale Italia”, per la quale conduce anche gli appuntamenti di attualità “Occhio per occhio” e “Notizie oggi”. Nel corso della sua trentennale esperienza giornalistica, dagli esordi de “La Notte”, è stato direttore de “L’Indipendente”, “La Libertà di Piacenza”, “Il Giornale di Vicenza” e “Il Gazzettino”. “E’ una presa in giro per il nostro ambiente – spiega, intervistato da ItaliaOggi – dovremmo prendere esempio di quel po’ di umiltà e di modestia che ci hanno insegnato i nostri maestri di una volta, oggi non è così”. Giornalisti un po’ troppo presuntuosi, quindi, ma anche scaltri. In “Casta stampata”, infatti, Bacialli mette in fila una serie di furberie, maliziose, ciniche o meno, che ha avuto modo di vedere nell’arco della sua carriera. Una su tutte, racconta, la bruttissima abitudine dei cronisti che “andavano a casa delle vittime di un incidente stradale e per farsi dare una fotografia dicevano: suo marito ha vinto alla lotteria, mi dia una foto”. Ma anche errori, gaffes e “papere” dei professionisti dell’informazione, costituiscono il fulcro di quest’opera perché, come ammette lo stesso autore, “siamo corporativi e […] dobbiamo fare ogni tanto autocritica”. (L.B. per NL)