Il diritto di difesa del candidato all’esame di stato per l’abilitazione alla professione forense risulta perfettamente garantito in relazione alla motivazione sintetica prevista dal R.D. n. 37/1934, rispondente ai criteri previsti dalla L. n. 241/1990.
Questo, sinteticamente, è quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 175/2011, con un principio applicabile a tutte le prove di accesso, il cui superamento costituisce requisito per lo svolgimento delle specifiche professioni intellettuali . Nel caso in esame, ricorrevano al T.A.R. cinque candidati non ammessi alla prova orale per l’esame di avvocato che – nelle prove scritte – non avevano ottenuto il punteggio complessivo di 90 assegnabile dalla Commissione esaminatrice. Le censure mosse al provvedimento di esclusione si dipanavano dalla motivazione sintetica espressa con voto numerico, ritenuta non confacente a taluni principi costituzionali; l’Autorità giudiziaria adita, quindi, previa sospensione dei provvedimenti impugnati, rimetteva al Giudice delle Leggi la questione relativa alla costituzionalità degli artt. 17-bis, comma 2, 23, comma 5, 24, comma 1 – che in tal guisa ammettono la possibilità che i giudizi di non ammissione dei candidati alla prova conclusiva dell’esame di abilitazione siano motivati con la sola attribuzione di un punteggio numerico – in relazione agli artt. 3, 4, 24, 41, 97 e 117 della Costituzione. Fornendo conto dell’oramai consolidato orientamento del Consiglio di Stato in merito alla sufficienza dell’attribuzione alle prove dei candidati di un mero punteggio numerico, il giudice remittente richiedeva alla Corte di esprimersi sulla costituzionalità di quello che oramai nella materia poteva essere considerato diritto vivente, rapportandosi a quanto disposto in materia di giusto procedimento e motivazione degli atti amministravi nel testo vigente dalla L. n. 241/1990, ciò in relazione all’indiscussa copertura alla stessa fornita dal testo costituzionale. Nello specifico, il Collegio promotore del sindacato di costituzionalità, prendeva a riferimento la necessità che il provvedimento amministravo si estrinsecasse in un iter logico – argomentativo dal quale il soggetto destinatario potesse desumere le ragioni della valutazione e della scelta compiuta dalla P.A., ai fini dell’esercizio del diritto di difesa nell’ambito di un’eventuale successivo controllo giurisdizionale dell’atto. Infatti, “(…) non potendo il giudice amministrativo operare un autonomo apprezzamento della situazione di fatto, la motivazione costituirebbe lo strumento attraverso il quale egli potrebbe operare un «sindacato indiretto» sulla correttezza della valutazione, anche sulla base della verifica della attendibilità del criterio scientifico applicato”. In buona sostanza, ad avviso del rimettente, "la mancanza di motivazione del «voto numerico» dei provvedimenti di non ammissione alle prove orali dei candidati partecipanti agli esami di abilitazione alla professione forense comporterebbe un difetto di trasparenza in contrasto con il principio di imparzialità che postula la conoscibilità e pubblicità delle scelte amministrative anche tecniche (art. 97 Cost.), nonché con il principio di uguaglianza e di pari dignità di tutti i cittadini di fronte all’esercizio del potere amministrativo (art. 3 Cost.)”. Di diverso avviso la Corte Costituzionale, laddove esponeva – nella massima ricavabile dalla sentenza in esame – il convincimento in base al quale il punteggio numerico, espressione della valutazione operata dagli esaminatori in quanto rispettosa della normativa di riferimento e di criteri prestabiliti dalla commissione esaminatrice, “(…) già nella varietà della graduazione attraverso la quale si manifesta, esterna una valutazione che, sia pure in modo sintetico, si traduce in un giudizio di sufficienza o di insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest’ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato”, specificando ulteriormente che il giudizio così espresso risultava “(…) soggetto a controllo da parte del giudice amministrativo (…) nei casi in cui sussistano elementi in grado di porre in evidenza vizi logici, errori di fatto o profili di contraddizione ictu oculi rilevabili, previo accesso agli atti del procedimento”. Gli addetti ai lavori, senza doversi spendere in qualsivoglia ulteriore commento, avranno sicuramente ben compreso che nella pronuncia del Giudice delle Leggi viene espresso il convincimento in base al quale, fatti salvi tutti i diritti e le garanzie costituzionali del caso (nella concreta applicazione ed azionabilità, invero, piuttosto blandi), nell’esperimento delle prove per l’abilitazione all’esercizio delle professioni intellettuali permane – stante la disciplina del 1934 – un’insuperabile concezione di discrezionalità amministrativa, gioco forza retaggio di un’organizzazione dello Stato sostanzialmente corporativistica che ben poco spazio concede ad un controllo meritocratico sugli elaborati d’esame, stante il giudizio sintetico espresso dagli esaminatori. (S.C. per NL)