Dopo il caso di Jammie Thomas, la casalinga statunitense obbligata a pagare 222 mila dollari di multa per il download “illegale” di brani musicali dal software Kazaa (solo 24 a quanto pubblicato dagli organi di stampa), i commenti sul mondo della pirateria musicale, direttamente connessa al file sharing, continuano ad espandersi come un’enorme macchia d’olio. Se il caso Thomas (vedi ns. articolo “Peer-to-peer, reato o diritto?”) ha scombussolato la regolare utenza del web, confusa più che mai sul da farsi e, soprattutto, erroneamente colpevolizzata per quel reato “indotto” dai costi, talvolta proibitivi, dei compact disc, sono le parole di Giorgio Assumma, ora, a lasciare perplessi sull’atteggiamento delle autorità nei confronti del peer-to-peer. Il presidente della S.I.A.E. infatti ha dichiarato che “la pirateria è un atto di inciviltà sociale”. E proseguendo il suo discorso ha aggiunto: “sono convinto che il fulcro della battaglia che tutti siamo tenuti a combattere sia proprio questo: il nostro Paese, più di altri, è pervaso da un sostrato forte, diffuso e radicato di questa inciviltà. Si tratta di un fenomeno etico che va affrontato con l’educazione civica, a partire dalla scuola e dalla famiglia”. Queste sono le parole di Assumma, pronunciate durante la conferenza stampa sull’antipirateria, tenutasi in Campidoglio lo scorso 23 luglio e che non smettono di proporre interrogativi interessanti. Interessanti, proprio perché, forse, è difficile rispondervi: per quale motivo considerare un atto, addirittura incivile, scaricare musica da internet o comunque condividere file multimediali di diverso genere? Perchè multare, di conseguenza, gli internauti che condividono, attraverso programmi completamente legali, file di ogni genere e dimensione? È sicuramente da notare che gli stessi produttori e creatori di software per il file sharing sembrerebbero dissuadere dall’abitudine ad avvalersi di certe pratiche “illegali”, ma questo non suggerisce certo al pubblico di spendere più soldi per avere quella stessa musica che potrebbero, e possono quotidianamente, ottenere gratuitamente. Nella home page di un noto programma peer-to-peer è pubblicato quanto segue: “eMule (il mulo elettronico, eccellente successore di eDonkey, il ciuco, sempre elettronico, ndr) è un programma di scambio file fra utenti (Peer to Peer) il cui utilizzo è perfettamente legale ed in molti casi indispensabile a piccoli produttori di software freeware od opensource, che non hanno la possibilità di pagare le linee necessarie per distribuire al pubblico i loro prodotti. Non è possibile alcun controllo su ciò che viene immesso in rete dai singoli utenti di emule, però rassicuriamo i visitatori che giungono qui in quanto non troveranno su questo sito alcun link a materiale protetto o soggetto a diritti d’autore poiché disapproviamo qualsiasi utilizzo del programma contrario alla legislazione vigente. Ricordate però che scaricare mp3, film, musica video e altre opere costate denaro e fatica agli autori è vietato dalla legge italiana (a meno che non sia l’autore stesso a distribuire l’opera gratuitamente)”. Purtroppo sappiamo che quanto scritto non corrisponde alla verità: su questo, come su altri programmi, è facilissimo (basta un click) trovare musica, film, video e interi software con seriali (numeri serie necessari all’installazione ufficiale, ndr) più o meno autentici. Tutti sanno, ma nessuno sembra voler trovare soluzioni ragionevoli. La più semplice, del resto, è quella che propone il presidente di Fimi (Federazione Industriale Musica Italiana) Enzo Mazza: multare l’utente, l’ultimo anello della catena. Perché fare diversamente quando l’apparente cooperazione tra peer-to-peer e diritto d’autore può garantire tanta ricchezza? (Marco Menoncello per NL)