Sembrava una barzelletta. O almeno qualcuno l’aveva presa come tale. Ed invece, questa mattina, il cda della Rai ha votato a maggioranza la cancellazione dei talk show politici dal palinsesto aziendale nel mese precedente le elezioni regionali.
Praticamente, la decisione entra in vigore in tempo reale: niente più Vespa, Santoro e Floris, quindi, niente più politica ed ospitate di politici sul servizio pubblico fino al giorno delle elezioni. L’unica informazione politica resta quella dei telegiornali che, non potendo – a rigor di legge – ospitare politici, esprimere opinioni (sic!) o – teoricamente – lanciarsi in editoriali di commento, dovrebbero assicurare al cittadino-abbonato quel po’ d’informazione politica che gli serve per farsi un’idea su chi votare, senza però lasciarlo condizionare dai messaggi politici dei candidati. Chi ha dato uno sguardo a qualche manuale di sociologia della comunicazione, però – ed in Rai si presume che un buon numero di amministratori l’abbia fatto almeno una volta nella vita – sa bene che l’informazione orientata ha effetti molto maggiori degli slogan degli esponenti politici. Insomma, Minzolini sì e Vespa no, Orfeo sì, Santoro no, Berlinguer sì, Floris no. Il cda dell’azienda, dicevamo, lo ha deciso a maggioranza, con i consiglieri del centrodestra che hanno fatto funzionare la propria maggioranza relativa e nonostante il no deciso del presidente Galimberti, che ha detto d’essere “molto tormentato da questa vicenda, come giornalista e come amministratore”. Galimberti ha sostenuto d’essersi battuto sino alla fine perché la decisione non venisse approvata, sostenendo inoltre d’avere “seri dubbi sulla costituzionalità di alcune parti del regolamento, come del resto ammesso chiaramente anche da un ex presidente della Corte Costituzionale e come paventato dallo stesso presidente dell’Agcom”. Oltre alla gravità inaudita di colpire gli utenti, che vengono così privati per ragioni puramente politiche del diritto all’informazione, secondo il presidente “si va incontro ad un concreto danno erariale”. Già, vuoi mettere il costo di uno spot durante un dibattito a poche ore dall’election day? Insomma, la decisione, che da un punto di vista giornalistico assume una gravità unica, sarebbe segno più che di “sfiducia nei giornalisti”, come sostiene ancora Galimberti, di paura nei confronti di possibili colpi di testa, specie da parte di alcuni di loro. Una decisione così radicale è una cosa assolutamente nuova nella storia del servizio pubblico italiano: togliere l’informazione agli italiani per favorire il rispetto della par condicio. “E’ stata applicata la legge”, sostiene Bonaiuti, portavoce del governo, che ha già le sue belle gatte da pelare date le decisioni delle ultime ore di da parte del Tribunale di Roma e della Corte d’Appello di Milano. Intanto la decisione ha scatenato, com’era prevedibile, il putiferio in azienda, con il sindacato dei giornalisti che parla di “pagina più buia per la libertà di stampa in Rai da quando esiste il servizio pubblico” ed i conduttori sul piede di guerra. Per Vespa si tratta d’una decisione “grave, ingiusta e sorprendente”. Santoro, imbufalito, ha dichiarato: “Qui si va oltre un regolamento già illegittimo, è una prova di forza del governo punto e basta, di cui francamente mi chiedo anche il motivo. Si vuole umiliare la tv, con i suoi autori e conduttori, in base alla legge del più forte, quella dei partiti”. E ha annunciato che il 25 proverà ad andare in onda. Lucia Annunziata, da par suo, ha giustamente commentato che i “programmi non cancellati che comunque devono sottostare al regolamento subiscono un’ulteriore beffa che è la sostanziale impossibilità a lavorare”. Insomma, una rivoluzione aziendale su cui il direttore generale Masi dovrà dare più d’una spiegazione. Intanto, un appello ai presidenti delle Camere è stato firmato da Nichi Vendola, governatore uscente della regione Puglia e ricandidato alla poltrona, David Sassoli, ex giornalista del Tg1 ed attuale parlamentare europeo nelle file del Pd, Rita Borsellino, ex candidata alla presidenza della regione Sicilia e Luigi Zanda, parlamentare del Pd. Come sempre, in Italia, ogni decisione di questo tipo finisce per spaccare in due il mondo politico. Certo è, comunque, che una cosa del genere qui da noi – così come in nessun altro Paese democratico o pseudo tale – non s’era mai vista. Chi però non si è lasciato andare ad alcun tipo di partigianeria è, come sempre, il Presidente della Repubblica, Napolitano. Mantenendo il suo solito aplomb, il titolare del Quirinale non s’è fatto scappare alcun commento di natura politica, preferendo concentrarsi, da buon primo cittadino, sulle condizioni di salute del presidente nazionale dei Verdi, l’onorevole Angelo Bonelli, ricoverato in ospedale dopo 33 giorni di sciopero della fame per la censura imposta dalle televisioni sui temi ambientali. Napolitano si è augurato che Bonelli “non prosegua una così estrema forma di protesta”. C’è infine, in questa vicenda, chi la propria voce non l’ha fatta sentire per niente, neanche sussurrata. E si tratta della concorrenza Mediaset, il cui silenzio, su una questione che la tocca così da vicino, stupisce. Forse. (L.B. per NL)