“Al Azhar” – celebre università islamica del Cairo – “è l’università del terrorismo, riempie i cervelli degli studenti e li trasforma in bestie umane…insegnando loro che non c’è posto per le differenze in questa vita”. Per queste parole, scritte sul suo blog personale, Karim Amer è stato condannato a tre anni di carcere per “incitamento all’odio religioso”; “il governo del presidente Mubarak è un esempio di dittatura, lui assomiglia ai faraoni dell’antico Egitto”: per queste altre parole Karim Amer è stato ritenuto colpevole di “offese contro il presidente”, vale a dire un anno di carcere aggiuntivo. Totale: quattro anni di prigione, per aver espresso le proprie personalissime opinioni sulla morale religiosa islamica e sul governo del proprio paese (se la legislazione in Italia fosse la stessa, non dovrebbero essere stati arrestati per lo meno 8 italiani su 10 in questi mesi bollenti per il nostro governo?). Abdul Karim Nabil Suleiman (in rete con lo pseudonimo di Karim Amer), 22 anni, di “professione” fa il blogger, dopo che l’università da lui frequentata per due anni lo ha espulso lo scorso marzo proprio per le accuse che le aveva rivolto. Cresciuto in una famiglia rigidamente osservante dei dettami della religione islamica, Amer aveva iniziato a ribellarsi ad una legge assurda della propria religione di Stato, che aveva obbligato le sue due sorelle a lasciare la scuola, iniziando ad indossare il niquab, il velo integrale. Successivamente, frequentando l’università, aveva iniziato la sua piccolissima battaglia personale per “aprire gli occhi” dei giovani, suoi coetanei, nei confronti della commistione politica-religione, che sottrae agli uomini la libertà, di pensiero prima ancora che d’espressione, incorrendo nell’espulsione da parte dell’Ateneo e nell’ allontanamento da parte della famiglia, religiosa praticante. A Karim Amer l’Islam sta stretto, specie nelle sue forme violente (già nel 2005 era finito in carcere per aver denunciato la brutalità di alcuni integralisti islamici che avevano fatto irruzione e violenze all’interno di una chiesa cattolica di Alessandria d’Egitto, restando in carcere per due settimane e venendo, successivamente, scarcerato senza processo), e per questo il giudice Ayman al Akazi, della sezione d’Alessandria, lo ha condannato a quattro anni di carcere, applicando tre articoli del codice penale egiziano, che puniscono le offese al presidente e l’incitamento all’odio religioso (dov’era l’incitamento all’odio religioso nelle parole di Karim Amer?). Come se non bastasse, come se la vicenda non fosse già abbastanza paradossale, alla difesa dell’imputato è stato impedito di parlare in aula, consentendo all’avvocato di consegnare solo un breve dossier difensivo, cui probabilmente i giudici non hanno dato nemmeno uno sguardo. Karim Amer, quindi, andrà sicuramente in carcere, anche perché, se mai fosse accolto il ricorso in appello da parte dell’avvocato difensore, egli non potrebbe, in ogni modo (per una precisa legge egiziana), evitare la reclusione, ma solo vedere ridotta la propria pena. Questa vicenda tragicomica (si fa per dire, naturalmente) ha provocato indignazione in tutto il mondo (per fortuna!), ha mobilitato molte organizzazioni umanitarie, sono state raccolte 2000 firme (in numerosi Paesi, dagli Stati Uniti al Bahrein) per la liberazione del blogger; molti uomini politici di diversi Paesi hanno inviato lettere d’indignazione al governo egiziano; sono state organizzate manifestazioni in tante capitali europee (una delle ultime, il 15 febbraio, davanti alla sede dell’ambasciata egiziana di Roma, organizzata e guidata dall’onorevole Daniele Capezzone, esponente di primo piano ed ex segretario dei Radicali italiani), ma, con ogni probabilità, tutto questo non servirà a restituire la libertà a Karim Amer. Tra qualche settimana nessuno se ne ricorderà più, e il governo egiziano continuerà a farsi beffa delle libertà fondamentali della gente del proprio popolo, con la tacita e colpevole indifferenza dei governi democratici, o pseudo tali, dell’Occidente. (G.C. per NL)