Il delicato tema degli editori e del loro diritto ad ottenere un giusto compenso per le news digitali torna ad essere al centro dell’attenzione dei big del web. Dopo aver visto le mosse che Facebook vorrebbe fare per agevolare gli editori, il problema di remunerare coloro che offrono l’informazione online è stato oggetto di dibattito anche nel nostro Paese.
Lo scorso 24/06/2019 si è tenuto nella sede romana della FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) il workshop “Le nuove frontiere del giornalismo digitale”, organizzato dalla FIEG stessa e da Google nell’ambito delle iniziative previste dall’Accordo strategico di collaborazione siglato nel giugno 2016.
Nel corso del seminario sono stati esaminati i risultati del Reuters Institute Digital News Report 2019, il più importante e autorevole studio comparato dedicato al giornalismo online, realizzato annualmente dall’Istituto Reuters.
Il Report, in particolare, ha effettuato un’attenta analisi delle strategie di business e delle tendenze di consumo dei prodotti editoriali registrate in 38 Paesi del mondo, tra cui, per la prima volta, anche il Sud Africa. Diversi sono stati gli argomenti rilevanti trattati. Tra questi, lo sviluppo di nuovi modelli di business online a pagamento, la fiducia nei media, il livello di disinformazione, l’impatto del populismo, l’incremento delle interazioni con le news app, la riduzione della condivisione di news sulle piattaforme social e, ancora, la crescita dei podcast.
Numerosi temi per affrontare quello che è considerato il nocciolo duro della questione: le news digitali devono essere retribuite. Il settore dell’editoria non può permettersi di offrire qualità e professionalità senza avere nulla in cambio.
A tal proposito, Nic Newman, autore dello studio e senior research fellow presso il Reuters Institute, sulla base dei dati raccolti ha commentato: “Sarà difficile che le persone paghino per avere notizie, quando sono abituate ad avere tutto gratis”. Il Report, sul punto, evidenzia infatti che le regioni del nord restano in testa per numero di paganti (tra sottoscrizioni, membership e donazioni): il 16% paga per le news digitali negli Stati Uniti, il 27% in Svezia e il 34% in Norvegia. Tuttavia questi Paesi sono l’eccezione: diversi editori, difatti, stanno introducendo nei propri siti sistemi di paywall, ma la maggior parte dei consumatori rimane riluttante a pagare per le notizie. L’editoria deve vedersela faccia a faccia con Netflix e Spotify: questi, infatti, rappresentano i concorrenti più temibili, perché le persone preferiscono riservare il loro budget all’entertainment piuttosto che alle notizie. Ma non solo. A minacciare il futuro degli editori, secondo Newman, ci sarebbe anche la nascita della valuta digitale di Facebook, la Libra, attesa per il 2020. “Nei prossimi due anni proprio questo diventerà il primo problema”, ha dichiarato Newman. Secondo lui, il rischio per gli editori è che diventino sempre più schiavi dei social network.
Eppure il modo per cambiare c’è, ma vanno modificati i modelli di business: “Bisogna puntare sulla specializzazione e sulle nuove opportunità”, ha detto Newman.
Per quanto riguarda il rapporto dei giovani con l’informazione online, il senior research fellow ha infine evidenziato che questi sono alla ricerca di contenuti personalizzati: ecco allora che l’audio e il podcast rappresentano per loro gli strumenti per poter scegliere, con i tempi voluti dall’utente.
Sul punto è intervenuto anche Riccardo Terzi, Emea strategic partnerships manager, news and publishers di Google: “L’informazione è fondamentale per la democrazia, ma i giovani devono vedere l’informazione come Spotify e Netflix, dove per i contenuti si paga”. (G.S. per NL)