Fare il paragone con l’Italia è troppo difficile. Soprattutto in questo periodo in cui i rapporti tra editoria e politica sono tesi come non mai. Gli Stati Uniti sembrano infatti appartenere ad un altro pianeta, almeno se visti dal nostro Paese.
Mentre il nostro Presidente del Consiglio querela La Repubblica e L’Unità, inducendo la FNSI a indire una manifestazione per la libertà di stampa e l’OCSE a chiedere a Berlusconi di ritirare le denunce, Obama prende in mano il dossier “crisi editoriale”. E si dichiara orientato a prendere in considerazione, per la prima volta, forme di aiuto pubblico che evitino il collasso della stampa Usa. Le misure attualmente in esame sono piuttosto semplici, ma politicamente molto rilevanti, soprattutto per un contesto come quello statunitense, in cui il mercato era, sino a ieri, un dogma. Potranno dunque accedere agli aiuti di stato i giornali, le cui società editoriali dovessero accettare di trasformarsi in fondazioni no profit. Gli editori privati in difficoltà dovranno quindi alzare una simbolica bandiera bianca, se vorranno usufruire di aiuti finanziari statali. Il messaggio è chiaro: il giornalismo è un valore, per cui è necessario salvaguardare i posti di lavoro. Ma la gestione privata delle società editoriali non sempre si è rivelata efficiente. Per cui, se le testate volessero dei soldi pubblici, sarà il caso che siano disponibili a cambiare un po’ di cose. Vedremo quante realtà saranno disposte a sottostare a queste condizioni e ad accettare, per esempio, di non poter sostenere più questo o quel politico locale per inseguire investimenti pubblicitari. Ma perché Obama si sarebbe dichiarato disponibile a prendere in considerazione questo tipo di misure? La motivazione fornita è quanto mai interessante. A parte le considerazioni di carattere prettamente economico e legate alla salvaguardia dei posti di lavoro, Obama ha sostanzialmente dichiarato che “non si può vivere di soli blog”. Queste le sue parole: “Sono preoccupato che la direzione dei news media sia solo la blogosfera, tutta opinione e niente controllo sui fatti, nessun serio tentativo di mettere le storie nel loro contesto. Così si finisce per gridare uno contro l’altro nel vuoto e senza seri tentativi di venirsi incontro reciprocamente”. Il buon giornalismo ha dunque bisogno di redazioni e di gente che se ne occupi a tempo pieno. E per essere la linfa vitale di una democrazia che si rispetti, c’è bisogno che sia un’attività professionale e indipendente. Sarà d’accordo Berlusconi? (Davide Agazzi per NL)