Il successo del quotidiano britannico dimostra ancora una volta come un investimento mirato e la costruzione di un’offerta strutturata siano indispensabili per l’appeal sul pubblico. Mentre il Financial Times chiude un cerchio apertosi vent’anni fa, i quotidiani italiani ancora non hanno implementato un vero e proprio sistema paywall diverso dal pay-per-read.
Un passo indietro
In un articolo del giugno 2021 si era parlato delle nuove frontiere dell’editoria online, con i principali quotidiani mondiali alle prese con la sperimentazione di paywall e sistemi di condivisione inediti. In quel caso, si erano presi in considerazione il New York Times, Le Monde e il Wall Street Journal.
Mancano i paywall
Nell’analisi non veniva presa in considerazione il contesto italiano, in cui ancora non si rivelavano grandi mutamenti rispetto alla classica proposta copia fisica/copia digitale. Non sembra quindi esserci particolare visione, da parte degli editori italiani, rispetto a un nuovo tipo di fruizione e di offerta pay in digitale diversa dal semplice abbonamento mensile. Manca, in sostanza, il sistema paywall.
ADS
Leggendo poi i dati rilevati da ADS, si nota come effettivamente il calo di copie fisiche non sia completamente compensato dall’aumento di quelle digitali, proiettando così il pareggio dei due formati al 2025. In questo lasso di tempo, causa la mancanza di strategie atte alla transizione digitale, verranno perse quasi la metà delle copie vendute, sintomo di una marcata lentezza nel passaggio all’editoria online.
Gli abbonati Financial Times
Fatte queste premesse, i numeri ottenuti e da poco resi noti, dal Financial Times sono ancora più impressionanti. Il quotidiano finanziario inglese, infatti, ha annunciato di aver raggiunto il milione di abbonati esclusivamente online, a fronte di un totale di abbonati (fisici+digitali) di 1,17 milioni.
Il paywall di Financial Times
Numeri che dimostrano come l’investimento (di mezzi e di visione) ormai ventennale, sia stato una mossa azzeccata. Già nel 2002, infatti, il Financial Times aveva implementato sul proprio sito un paywall, per poi implementare gli abbonamenti veri e propri dal 2015. È proprio questo l’anno della svolta per il quotidiano: a seguito dell’acquisto da parte della compagnia giapponese Nikkei, il Financial Times ha visto la realizzazione di un nuovo piano digitale. Una mossa che ha dato i suoi frutti nel tempo, come testimonia il bilancio dell’anno scorso.
Digitale/fatturato
Il fatturato registrato per l’esercizio 2020 è infatti di 438 milioni di sterline, equivalenti a 523 milioni di euro. Di questi, ben il 46% è costituito dal comparto digitale, che nel frattempo non accenna a frenare la propria crescita nella proposta all’utente con il lancio di The FT Edit App.
Financial Times per tutti
L’applicazione permetterà ai lettori di accedere a otto articoli al giorno, pagando una quota minore rispetto all’abbonamento standard. Nel frattempo, il quotidiano prosegue nell’attività di accesso gratuito per scuole e studenti con il programma FT Schools, investendo così su futuri potenziali abbonati.
La strada giusta
I numeri del Financial Times e degli altri quotidiani sopracitati dimostrano come la strada intrapresa possa essere quella giusta. La sfida che questi gruppi editoriali hanno già in parte affrontato e che i giornali italiani ancora devono mettere nel mirino non è però legata alla mera presenza online. Infatti, il vero scoglio da superare è adattarsi alle nuove tipologie di consumo che si basano sempre più su differenziazione e personalizzazione dell’offerta.
Nativi digitali
Il tutto è reso più complicato dalla presenza di attori nativi digitali, sempre più aggressivi, non tanto per la qualità dell’informazione, quanto per la capacità di utilizzo del nuovo media. La vera sfida dell’immediato futuro non è dunque solo il saper fare bene informazione, ma anche sapersi collocare bene nel web. (A.M per NL)