Berlusconi stava per annunciare la sua discesa in campo e accanto alla rivoluzione nella politica italiana, uno smottamento scuoteva il mondo del giornalismo.
Indro Montanelli lasciava dopo vent’anni la sua prima creatura, Il Giornale, per fondare La Voce, nome scelto in onore del suo maestro Giuseppe Prezzolini. A provocare lo strappo, come lui stesso ha raccontato, l’indisponibilità sua e di gran parte della redazione a divenire parte della campagna mediatica del futuro premier. Un’esperienza durata solo poco più di un anno, ma – come traspare dalle parole di uno dei protagonisti, Marco Travaglio – destinata a lasciare un segno indelebile nella storia della stampa italiana. "Quando Montanelli ci diede, piangendo, la notizia della chiusura de La Voce, scusandosi per quello che era successo, nella consapevolezza che per molti di noi sarebbe stato difficile trovare una nuova occupazione – ricorda con l’ANSA il giornalista, che seguì Montanelli dal Giornale -, noi gli spiegammo che era stato non solo un onore, ma anche un piacere lavorare con lui. Non ci eravamo mai divertiti tanto come in quell’anno magico". Il sipario calò, dopo polemiche e divisioni in redazione, nell’aprile del ’95 poco più di un anno dopo quel 22 marzo in cui il primo numero fu dato alle stampe. Il punto di non ritorno dell’esperienza di Montanelli al Giornale fu toccato con l’arrivo di Berlusconi in redazione. "Da tempo la proprietà voleva cambiare direzione – ricorda Travaglio -. Avevano già contattato Feltri, stavano lavorando ai fianchi Montanelli. Quando Berlusconi si presentò in redazione a sua insaputa per aizzargli contro i giornalisti apparve chiaro che quella pagina si era chiusa". Montanelli, con la società editrice Pmi, raccolse in via Dante a Milano una redazione di 70 giornalisti. "C’era un clima strepitoso – prosegue il vicedirettore de Il Fatto -, Montanelli era in forma smagliante. A 85 anni scriveva due articoli al giorno: l’editoriale e la risposta alle lettere. Dirigere un giornale senza padrone era il suo sogno, era ringiovanito di 10 anni". Dopo un promettente avvio, presto si comprese che il piano industriale non stava in piedi. Eccessivo il costo del personale, eccessivo quello delle sedi. Il collocamento in borsa non ebbe gli effetti sperati, la raccolta pubblicitaria si rivelò inferiore alle aspettative. "Si trascurò il fatto che Berlusconi era ormai il padrone d’Italia – spiega Travaglio -. Ci furono sabotaggi e intimidazioni agli inserzionisti". A poco servì l’arrivo di Gianni Locatelli, anzi – come sottolinea Travaglio – il nuovo amministratore tentò di cambiare il dna giornale, portandolo di fatto alla chiusura, quando ancora poteva contare sulla vendita di 78 mila copie. Tante rubriche, la forza di commenti senza sconti e la grafica inconfondibile di Vittorio Corona con i fotomontaggi in prima pagina, La Voce rappresentò una grande novità per la stampa italiana, ma probabilmente risultò indigesta a buona parte dei lettori di destra. Montanelli, nel suo ultimo editoriale, scrisse che la destra liberale in Italia, sopraffatta da quella berlusconiana, era ormai minoritaria, insufficiente a garantire la sopravvivenza del giornale. "Quello era un pezzo amaro – commenta l’opinionista di Servizio Pubblico-. In realtà Montanelli fu vittima di una campagna diffamatoria, attraverso la quale si diceva che era diventato comunista a 85 anni. Berlusconi non poteva accettare come avversaria una destra liberale, l’unica opposizione riconosciuta era quella di sinistra". La chiusura de La Voce fu un duro colpo per Montanelli, che tornò poi a scrivere per Il Corriere della Sera. "Ne uscì invecchiato di 10 anni – prosegue Travaglio -. Sentiva forte la responsabilità di quel fallimento. Per me è stata però l’avventura professionale più bella, insieme a quella del Fatto che nel nome richiama la trasmissione di Biagi, ma nell’insieme si ispira proprio a La Voce". La mente va alle grandi inchieste guidate da Montanelli. Memorabile quella sui danni provocati da Mediobanca nel mercato finanziario italiano, pubblicata il 25 aprile del ’94 e illustrata con il volto di Enrico Cuccia con le sembianze di un vampiro. "Era un’inchiesta durissima che nessun giornale avrebbe osato pubblicare – ricorda Travaglio -, Montanelli ci disse che oltre a Berlusconi ci eravamo messi contro Mediobanca. E purtroppo ebbe ragione nel pronosticare che ci eravamo giocati la sopravvivenza".(ANSA).