Robert Thompson, attuale direttore del Wall Street Journal, nel contesto di una più ampia considerazione riguardante la crisi della stampa internazionale, avrebbe definito Google un “parassita dell’intestino di internet”. Se individuare un intestino nel web potrebbe risultare complicato, è indubbiamente più facile accettare come la società di Mountain View sia arrivata a meritarsi l’appellativo di parassita. Accusata di appropriazione indebita di notizie dall’Associated Press, nonché dalla stragrande maggioranza degli editori di un certo rilievo, Google avrebbe attratto a sé milioni di lettori in tutto il mondo con la sezione News, il cui motto potrebbe essere “non faticare a cercare le notizie, ti diciamo noi quali sono le più importanti”. Motivo per cui gli internauti non hanno effettivamente abbandonato i siti ufficiali delle testate internazionali, ma ora ci arrivano per la maggiore consultando Google News, che negli ultimi anni si è imposto come filtro, come passaggio obbligato per raggiungere le breaking news di tutto il mondo. La grande G ha però ottenuto questo privilegio in modo del tutto illegittimo, senza concordare con giornali e siti d’informazione un qualunque rapporto di natura commerciale che avrebbe potuto, nel tempo, soddisfare entrambi i soggetti della questione, costringendoli a cooperare per la divulgazione delle notizie. Ora il problema ha naturalmente assunto proporzioni giganti. I big dell’editoria sono alla disperata ricerca di nuovi metodi per aumentare gli introiti di un prodotto (il giornale, ivi compresa la sua edizione online) che da sempre è stato distribuito sottocosto anche per la grande importanza sociale che riveste. Un ruolo, quello delle testate giornalistiche, la cui entità non sembra, fortunatamente, diminuire, ma la cui natura deve obbligatoriamente mutare per conseguire successi tali da tenere in vita la carta stampata. E da ogni dove arrivano rimedi e soluzioni, ancora non del tutto efficaci e che purtroppo manifestano la complessità della questione. Se Murdoch, con il Wall Street Journal, sta ottenendo interessanti successi dal punto di vista economico, non è così per tutti gli altri. Il Wall Street Journal ha la fortuna di poter contare su una schiera di lettori professionisti, che probabilmente pagano volentieri un servizio purchè sia ancora più esclusivo di quanto sia mai stato in precedenza. Tra l’altro, i piani del WSJ comprendono anche un contatto diretto tra lettori di un certo livello, attraverso l’interattività del web 2.0 (trattasi in particolare della possibilità, offerta ai soli iscritti paganti, di commentare le notizie pubblicate su www.wsj.com). Diversamente il Times di Londra, il Sun e il New York Post (sempre di proprietà di NewsCorp.) non avrebbero ancora trovato un modello definitivo da cui ottenere maggiori introiti. Sicuro è che il magnate australiano non stia con le mani in mano, ma abbia al contrario proposto di considerare anche la soluzione dei micro pagamenti. Un sistema paragonabile a quello attraverso cui gli utenti acquistano mp3 da iTunes. Pochi spiccioli per una notizia. Un pagamento più sostanzioso, eventualmente, per accedere all’archivio storico completo, piuttosto che agli approfondimenti. Murdoch avrebbe addirittura pensato di far partecipare attivamente alla vita dei quotidiani non solo i giovani lettori commissionando loro reportage fotografici sulle notizie sportive, ma anche i clienti più esigenti e adulti permettendo a pochi eletti tra loro di partecipare a vere e proprie riunioni di lavoro per scegliere gli argomenti degli editoriali, o i temi degli approfondimenti. In qualche modo poi, l’editoria internazionale sembra arrabattarsi. Sempre in Gran Bretagna The Independent sta faticosamente studiando un modo per rendere a pagamento alcune sezioni online. Vanno contro corrente The Guardian e BBC che restano fedelissimi al sistema gratuito. Il francese Le Monde offre articoli gratuiti solo per i primi tre giorni. Dopodiché per accedere ai contenuti del proprio sito è indispensabile la sottoscrizione di un abbonamento. In Spagna El Mundo rimane gratuito in tutte le sue parti. El Pais fa invece un passo indietro, palesando nuovamente la complicatezza della questione: da quotidiano a pagamento ha recentemente scelto di tornare ad essere free, ad eccezione del solo archivio. Certo è che la raccolta pubblicitaria non è più sufficiente. Ma secondo molti la proverbiale fiducia degli editori nei confronti della carta stampata sta venendo meno. Se non altro perché ci si rende conto che il giornale non può più essere considerato nella sua tradizionale accezione. Le notizie sono online, approdano su smartphone e palmari, vengono lette sui moderni e-reader (è il caso di Amazon Kindle) e vengono divorate in pillole da lettori affamati, ma fugaci. Da lettori che sempre più spesso, non sembrano avere tempo di leggere un editoriale dall’inizio alla fine. (Marco Menoncello per NL)