L’editoria internazionale tradizionale prosegue il suo lento declino. Gli editori più popolari si aggrappano agli investitori più potenti per sanare i propri debiti milionari, sperando in una qualche ripresa.
Così accade che Carlos Slim, magnate delle telecomunicazioni in America Latina, investa 200 milioni di dollari per dimezzare il debito del New York Times; o che l’inglese The Independent, per evitare la chiusura, paghi in ritardo un’obbligazione da 200 milioni di euro, prima dimezzando la quota societaria del suo maggiore azionista, Anthony O’Reilly, poi chiedendo nuovi fondi a tutti gli altri azionisti del gruppo Independent News & Media. In questo contesto centinaia di giornali locali, non potendo ricorrere ad analoghe soluzioni finanziarie, sono costretti a chiudere i battenti. Di conseguenza ogni editore è alla ricerca di un metodo che consenta di far pagare ai lettori le proprie notizie. Che si tratti di abbonamenti trasversali (dunque che contemplino sia l’edizione cartacea che quella online di un determinato quotidiano), abbonamenti per la sola edizione online combinata all’acquisto di un dispositivo e-reader (per esempio, Amazon Kindle) o di micropagamenti per l’accesso a singoli contributi (come succede Oltreoceano per il WSJ.com o nel nostro paese con ItaliaOggi.it), i giornali hanno bisogno di maggiori introiti, non essendo in alcun modo sufficienti quelli derivanti dagli introiti pubblicitari. E partendo dal quel presupposto, più volte ripetuto su NL Newslinet.it, secondo cui contribuire economicamente all’edizione online significa semplicemente pagare quanto il lettore effettivamente non compra più in edicola, è indispensabile prendere posizione sulla scelta, condivisa ormai da qualunque testata telematica, di apporre la dicitura “riproduzione riservata” al termine dei propri articoli. Un’opzione necessaria non solo per salvaguardare il lavoro e i contributi del giornalista, ma anche perché, se è giusto pagare per leggere contenuti esclusivi (e non può che essere giusto), gli stessi non possono essere diffusi gratuitamente sul web da qualunque internauta che gestisca, anche senza profitto, un blog. Le news hanno un valore tanto economico, quanto culturale; hanno uno scopo e un utilità indubbie; hanno un ruolo fondamentale nelle diverse società nelle quali viviamo e lavoriamo; e, in definitiva, devono avere un “luogo” o un “ambiente” esclusivo e certificato attraverso il quale accedervi. Perché se il lettore ottiene in edicola un prodotto che gli fornisce un’informazione verificata, è altrettanto corretto che l’internauta utilizzi i siti dei quotidiani o dei periodici per leggere quanto è di suo interesse, senza disperdersi tra copia-incolla non autorizzati di blogger, o tra moderni aggregatori di notizie, peraltro incapaci di dare rilievo alla qualità del giornale o dello stesso contributo (anche per Google News, dove la selezione delle notizie, divise per categorie, è automatizzata). Ragion per cui ai numerosi blogger e internauti che accusano editori e giornalisti di aver messo – con la dicitura “riproduzione riservata” – un fantasmagorico bavaglio al web, nascondendosi dietro il fatto che l’informazione è diritto di tutti, sarebbe opportuno ricordare che è comunque dovere di tutti contribuire economicamente (pagando per leggere) e culturalmente (diventando lettori interattivi, soprattutto sul web) al lavoro di chi l’informazione la gestisce, con lo scopo ultimo di partecipare, come è sempre stato possibile fare, alla vita dei quotidiani, chiedendo ciò che si vuole sapere e favorendo la costituzione di ambienti dove la qualità sia contemporaneamente valore indispensabile e prerequisito fondamentale per la professione giornalistica. Del resto, non è possibile credere che la vita sociale su internet sia un fenomeno che caratterizza esclusivamente i social network. (Marco Menoncello per NL)