Editoria, politica & chiesa, caso Boffo: informazione alla deriva o romanzo alla Dan Brown?

A ricostruire ogni tassello, ogni riga e pagina scritta in questi giorni a riguardo del caso Boffo, ogni avvenimento della storia recente di questo paese (e anche di quella vaticana), ne uscirebbe un racconto che qualsiasi regista di gialli vorrebbe come soggetto del proprio prossimo film. Basti leggere le ipotesi, le congetture, il batti e ribatti di accuse che da qualche giorno a questa parte si rilanciano addosso i protagonisti: Vittorio Feltri, neo direttore gongolante de Il Giornale (che aveva promesso di rilanciare anche a costo di farne un “brutto giornale”), Dino Boffo, dimissionario direttore de L’Avvenire e tutti gli annessi e connessi, uomini politici, di Chiesa, giornalisti e comparsate varie. Sembra un romanzo alla Dan Brown, come si legge in un articolo apparso sulle pagine del portale anordest.it lo scorso 30 agosto. Ma andiamo con ordine, anche se la vicenda oramai è nota anche ai sassi. Dino Boffo, cinquantasette anni, da quindici direttore de L’Avvenire, quotidiano della Cei, è un uomo piuttosto potente, questo è fuor di dubbio. C’è chi lo ha tacciato (come riporta anordest.it) in passato d’aver instaurato un vero e proprio sistema economico e informativo, d’accordo coi vertici della Commissione Episcopale, ricevendo appoggi politici per ottenere l’istituzionalizzazione dell’otto per mille e facendo ricavare somme di denaro astronomiche (870 miliardi di lire nel solo 1987), reinvestite a camionate nel settore dell’informazione (radio, tv, stampa). Un vero e proprio network multimediale cristiano ecumenico dal quale diffondere la Parola, ricavare un mucchio di quattrini e propagandare idee. Insomma, a leggere certe cose Dino Boffo parrebbe una, diciamo, figura complessa, anche se, in realtà, nulla di tutto ciò grida allo scandalo (anzi, è la regola di ciascun centro di potere). Ma non è finita qua, perché il dottor Boffo – e questa è cronaca – è anche membro del comitato permanente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, che detta le linee guida dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nonché amministratore delle Giornate mondiali della Gioventù e responsabile di qualunque evento di comunicazione riguardante la Chiesa di Roma. Insomma, il portale notiziegay.it lo definisce “l’uomo più potente della Chiesa italiana dopo Ruini”. Certo è che uno che non conosce come funziona il mondo che vive Boffo non lo è di certo. Ma nulla ancora di scandaloso (anzi, meno peggio di tante altre situazioni). Ora però si arriva a favoleggiare che, d’accordo coi sommi del suo mondo amministrasse somme di denaro da capogiro, che mettesse i suoi uomini ai posti di comando come fossero figurine, che giostrasse a suo piacimento la valvola informativa della Chiesa di Roma. Chiaramente Boffo ora è nel centro del mirino, quindi gli è attribuito tutto e di più. I suoi detrattori parlano di sistema di potere, paventano taciti assensi dai piani altissimi, quasi ultraterreni delle stanze vaticane: non dovesse interessare a Dan Brown, certamente Ron Howard sarebbe contento di farne un film, questa volta con un soggetto originale. Sempre secondo queste tesi denigratorie pronte per la sceneggiatura, un giorno l’idillio si rompe. Papa Wojtyla spira e gli succede, senza un briciolo di clamore o stupore, Joseph Ratzinger, acuto conoscitore delle anse vaticane, frequentatore assiduo delle stanze di palazzo, ma seguace di un’altra corrente. Ed ecco che il cardinal Ruini è congedato e – sempre secondo la tesi complottistica di anordest.it (in accordo col portale dagospia.it) – Boffo inizia ad essere osteggiato ed isolato. Finché, in questi giorni, una non notizia (perché non diffusa a suo tempo) del 2004 arriva sulla scrivania di un direttore difficile da frenare, che risponde al nome di Vittorio Feltri, che non ci pensa due volte a pubblicare (anche perché deve tirare su un Giornale che sta precipitando, non solo per via della crisi), sputtanando così irrimediabilmente il dottor Boffo, che, dopo una difesa – va detto – non particolarmente efficace, è costretto a capitolare, giungendo a rassegnare le dimissioni (inizialmente respinte) da direttore de L’Avvenire. Tutto nasce da una lettera anonima, ricevuta da buona parte delle gerarchie ecclesiastiche italiane (e cestinata immediatamente dai più, ma non da tutti), in cui si richiamano vicende giudiziarie di Terni e segnatamente di una querela per molestie presentata da una donna della cittadina umbra ai danni di Boffo; una mal scritta “informativa” a cui qualcuno sembra avesse voluto dare una parvenza ufficiale con un approssimativo linguaggio burocratico-giudiziario (o forse la civetta voleva proprio che fosse interpretata come una maldestra calunnia per fuorviare l’inevitabile ricerca) dove il direttore del quotidiano veniva definito “noto omosessuale già noto alla Polizia” (esposizione che rende così goffa la “informativa” da far veramente pensare ad un depistaggio), che “gode di alte protezioni, correità e coperture in sede ecclesiastica”. Insomma, una classica letteraccia come ne girano a migliaia in certi ambienti. Oppure un ben congegnato trappolone, col timer. Ma c’è un altro tassello da aggiungere a questa intricata vicenda, prima di trarne le conclusioni. Allo scoppio del “Berlusconi-sexgate”, i giornali cattolici avevano inizialmente tenuto un profilo basso sulla vicenda, considerando anche la vicinanza ideale e politica tra i partiti di governo (eccezion fatta per la Lega mangiapreti) e le gerarchie della Chiesa. Dopo un primo periodo di quiete, però, i giornali filo-cattolici avevano iniziato a venir giù duro e tra questi si era distinto proprio L’Avvenire di Dino Boffo che, senza mezzi termini (anche se un po’ a scoppio ritardato) aveva preso ad accusare il premier di condotta immorale, con il direttore che si diceva indignato di fronte alla vita sessuale, per così dire avventurosa, di Berlusconi che, a suo dire, per il ruolo che ricopre, dovrebbe incarnare ben altri valori. Chiaramente le critiche del quotidiano della Cei avevano sollevato un polverone mediatico, che aveva ferito Berlusconi. Dieci giorni fa Vittorio Feltri, vecchio giornalista-combattente e acuto conoscitore degli affari politici dei piani alti, subentra al novello Giordano alla direzione dello zoppicante Giornale, per restituirgli quella grinta e quella autorevolezza che, oltre a far vendere più copie, permetterebbero al quotidiano di casa Berlusconi di contrastare il vortice di attacchi frontali cui il fratello dell’editore è soggetto ormai da mesi, inclusi (anche se non preponderanti) quelli dei giornali cattolici e de L’Avvenire. Una delle prime mosse di Feltri, infatti, è quella di inscatolare Boffo, restituendogli pan per focaccia. Chi di accuse sulla condotta sessuale ferisce, di analoghi strali perisce. Ed ecco che questi documenti risalenti al 2004 ed intestati Tribunale di Terni, di cui nessuno aveva sentito parlare prima d’ora (tranne i destinatari dell’anonima lettera), escono fuori sotto forma di saette dalle pagine de il Giornale. Il “supercensore” (come Boffo è chiamato dal giornalista Gabriele Villa) era stato condannato (con decreto non opposto) per molestie su di uno sfondo (omo)sessuale: una ghiotta occasione per Feltri per fare di lui carne da prima pagina. Il minacciatore telefonico sarebbe stato (per l’accusa) proprio il direttore de L’Avvenire, che non si è opposto al decreto ed ha pagato la multa di 516 euro (Boffo sostiene che il suo telefono sarebbe stato utilizzato da un collaboratore che lui avrebbe deciso di coprire, accollandosi la condanna per chiudere velocemente la vicenda). Casualità o tempismo micidiale (a seconda che si voglia sposare una teoria piuttosto che l’altra) hanno determinato l’outing della vicenda in un momento politico molto particolare (nessuno ora può ancora cantar vittoria, perché la bomba potrebbe scoppiare in mano a chi l’ha spolettata). Insomma, la questione si fa ancora più contorta. Un potente della Chiesa, il cui guru è stato messo fuori gioco da cambiamenti ai vertici istituzionali che, proprio nel momento in cui volta le spalle alla coalizione politica che ha sempre appoggiato, è pugnalato da un organo d’informazione e da un direttore che proprio i vertici di questa coalizione hanno messo lì per fare la guerra a chi la pugna aveva iniziato a farla loro. E non è finita. Come in qualsiasi giallo psicologico (e anche un po’ esoterico, se ci si fa caso) che si rispetti, ad un certo punto fa il suo ingresso il pezzo da novanta, il personaggio carismatico, pacificatore che potrebbe mettere tutti d’accordo. Si tratta, in questo caso, dell’intervento, ultimo in ordine di tempo, di Papa Benedetto XVI che, al quinto giorno di questa polemica divampante è apparso, accompagnato da Bagnasco, per esprimere la sua solidarietà al malcapitato Boffo. A questo punto, però, data la successiva ufficializzazione delle dimissioni dell’ormai ex direttore de L’Avvenire, definite irrevocabili (in una prolissa e ridondante di ossequi lettera al cardinal Bagnasco – data opportunamente in pasto ai giornali di oggi – l’interessato si è sfogato dicendo che “la mia vita è stata violentata”), questo intervento provvidenziale e pacificatorio pare abbia avuto la funzione più che di un abbraccio paterno per il ritorno a casa della pecorella, di un bacio d’addio per allontanarla provvidenzialmente. (G.M. per NL)

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