Una fotografia della situazione attuale, considerato lo sconvolgimento proprietario che riguarda i più grandi nomi dell’editoria italiana.
Il mercato editoriale, come noto, è in forte crisi; negli ultimi anni parecchi quotidiani nazionali hanno perso metà della loro tiratura con conseguente calo delle vendite e la stessa sorte è toccata a mensili e settimanali che sono stati costretti a chiudere o ridimensionarsi. Se è ancora vero che informazione è potere, è altrettanto certo che essa oggi ha perso di valore, almeno per la carta stampata. L’informazione scritta spopola gratuitamente su internet, magari sullo smartphone, senza alcuna necessità di approfondire. Il problema è che internet non genera denaro e senza incassi non si pagano gli stipendi, non si fa editoria, né giornalismo. Qualche incasso lo genera ancora il settore tecnico, come ad esempio quello economico che resta ben pagato in quanto oggetto di interessi professionali (basti pensare a come una testata come il Wall Street Journal possa permettersi di essere consultato anche online solo agli abbonati). A soffrire di meno è l’informazione locale, perché parla di cose che internet non riesce a raccontare. E’ necessaria una profonda revisione in campo editoriale, anche perché se leggere il giornale è solo un abitudine e non un bisogno o un piacere è facile farne a meno; per tornare a interessarsi all’informazione servono buoni giornalisti, cultura e idee nuove. Rimane da esaminare un dato che non può essere trascurato: il nuovo stravolgimento proprietario che ha coinvolto i maggiori nomi dell’editoria italiana. Tutto è cominciato con le scelte della famiglia Agnelli, che ha ridimensionato gli investimenti editoriali nel Paese, per concentrarsi oltreconfine sull’Economist. Dapprima sono scesi a patti con l’altro importante editore nazionale, Carlo De Benedetti, per cui adesso Il Gruppo Espresso ha in sé anche La Stampa e la famiglia torinese ha avuto in cambio una quota minoritaria dell’Espresso stesso. Al contempo John Elkann si è disfatto delle quote detenute in RCS, da tempo in crisi, sopportando una grave perdita di bilancio. In passato questo rimescolamento proprietario in capo al Corriere della Sera avrebbe scosso i palazzi del potere. Oggi ha condotto semplicemente alla proposta da parte di uno degli azionisti di RCS, Urbano Cairo anche lui editore (ma puro), che ha offerto un concambio azionario, titoli di Cairo Communication in cambio di quelli svalutati di RCS. Il resto dei grandi azionisti ha risposto tramite Mediobanca con una controfferta in denaro non particolarmente cospicua, anche se bisogna tenere conto dei 400 milioni di debiti che chi prende RCS si addossa. Sapremo presto come andrà a finire. (A.P. per NL)