Secondo quanto affermato dal direttore generale della Fieg, le maggiori entrate del canone Rai dovrebbero andare anche alla carta stampata oltre che alle emittenti locali. Non si parla invece di percorrere nuove strade e cambiare approccio al mercato né di quanto evidenziato dalla Corte dei Conti.
Oltre che alle emittenti locali le eventuali maggiori entrate derivanti dal canone Rai (in bolletta elettrica da luglio 2016) dovrebbero essere destinate, stando a quanto sostenuto dal direttore generale della Fieg (Federazione italiana editori di giornali), anche alla carta stampata. Le problematiche evidenziate sono sempre le stesse: dalla perdita costante dei ricavi pubblicitari al calo inarrestabile di copie vendute, passando per le classiche lamentele sulle violazioni del diritto d’autore commesse dagli over the top dell’informazione. Come al solito, l’attenzione del comparto si concentra più su ciò che lo Stato può (e a loro avviso deve) fare per il mondo editoriale e non su come il mondo editoriale può agire per aiutare se stesso. Ironicamente, Carotti ci tiene a evidenziare come le testate abbiano risposto alla crisi attraverso “interventi strutturali di accompagnamento del settore verso un’informazione sempre più di qualità e con mezzi sempre più tecnologici”. Eppure, a guardare la realtà dei fatti, il Corriere della Sera è l’unico giornale ad aver adottato sistemi di diffusione più moderni come il paywall e ad aver riorganizzato la propria struttura assecondando i nuovi metodi di fruizione e le nuove necessità dell’informazione dettate dall’era digitale, come riportato in un precedente articolo dedicato al tema. Il trend generale, invece, è quello di aspettare che la salvezza arrivi dall’alto. E così, il canone Rai che, con l’inserimento nella bolletta elettrica, avrebbe dovuto trasformarsi in un’entrata più solida a bilancio dell’emittente pubblica, rischia di diventare una pignatta dalla quale attingere liberamente, e poco importa se lo scopo della tassa è ben diverso. Come se non bastasse, un eventuale inserimento delle testate cartacee nell’ambito del fondo, rischierebbe di mettere in forse l’effettiva funzionalità della fetta che spetterebbe alle emittenti locali. In parole povere: la Legge di Stabilità stabilisce il tetto entro il quale deve trovarsi il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione (massimo 50 mln) e quindi, più i soggetti interessati aumentano, più i contributi assumono un’utilità discutibile. Stranamente, nella citata audizione, non si parla di finalità e rendicontazione, quei due fattori essenziali che la Corte dei Conti ha ritenuto, come già discusso in precedenza, indispensabili per la cessione di risorse pubbliche in materia di contributi. (E.V. per NL)