“Un tracollo che, di fronte a un patrimonio netto negativo per quasi 12 milioni, chiama in causa le omissioni di controllo da parte dell’azionista di riferimento, Confindustria, che ha lasciato correre la crisi nel corso degli ultimi 8 anni sino quasi a un punto di non ritorno. Il rafforzamento patrimoniale sarà dell’entità di 70 milioni: intervento modesto e gracile. inadeguato e insufficiente. Il grande assente è il rilancio“.
Così una nota del CdR dello storico quotidiano, che prosegue: “Abbiamo accolto con fortissima preoccupazione le conclusioni del ultimo consiglio di amministrazione del Sole 24 Ore. Un numero per tutti, la perdita di 92 milioni registrata nel 2016. Quanto stridente rispetto all’entusiastico storytelling aziendale con cui lo stesso 2016 era iniziato, culminato nelle celebrazioni per i 150 anni la scorsa primavera. Una perdita record che porta il volume complessivo del rosso, dal 2009, oltre quota 350 milioni. Una situazione drammatica, che ha condotto la società sull’orlo del fallimento e si sarebbe oltretutto manifestata già anni fa senza le iniezioni di liquidità della quotazione e della vendita dell’area software. Un tracollo che, di fronte a un patrimonio netto negativo per quasi 12 milioni, chiama in causa le omissioni di controllo da parte dell’azionista di riferimento, Confindustria, che ha lasciato correre la crisi nel corso degli ultimi 8 anni sino quasi a un punto di non ritorno (l’ultimo anno in utile, lo ricordiamo, è stato il 2008). Ma questa è la storia naturalmente, sia pure recente. Che comunque dovrebbe servire a sbagliare meno nel presente. Non parrebbe, però. Proviamo a concentrarci sulla cronaca. A fronte di perdite monstre, il Codice civile ha imposto la ricostituzione del capitale sociale. Come? Fino a poche ore fa una ricapitalizzazione annunciata sin da settembre era ignota sia nel quanto, sia nel quando sia nel come. Ora al primo interrogativo è stata data una risposta da parte del cda di mercoledì. Il rafforzamento patrimoniale sarà dell’entità di 70 milioni, un importo considerato, recita il comunicato aziendale al termine del consiglio, “necessario e sufficiente a ripristinare l’equilibrio finanziario e patrimoniale della società”. Noi invece temiamo che si tratti di un intervento modesto e gracile, ancora ignoto oltretutto nelle modalità, che nell’immediato è già inadeguato e potrebbe rivelarsi tra pochi mesi insufficiente. Il volume delle perdite, al netto degli oneri ricorrenti, è infatti di 44 milioni e rotti. Più o meno la metà del rosso del 2016. E nulla in questi anni è stato più ordinario nei bilanci del Sole 24 Ore delle perdite dovute a oneri straordinari. Quasi ogni anno è stato comunicato che sul bilancio incidevano perdite straordinarie che non si sarebbero più presentate negli anni successivi. Un esempio per tutti? I 37 milioni dell’esercizio 2013. Di fronte a una crisi profonda, che affligge tutto il mondo dell’editoria, e che ha costretto anche altri editori a mettere mano al portafoglio per ripatrimonializzare le aziende, la risposta dell’azionista è quella di volere sottoscrivere “pro quota” la ricapitalizzazione. Per un valore, si dice, che si aggirerebbe sui 30 milioni. Meno della metà anche solo dei dividendi incassati da Confindustria nei 7 anni precedenti la crisi: 66 milioni. Ancora non conosciamo un piano industriale che appare tutto centrato sul taglio dei costi e che lo stesso comunicato aziendale affronta con grande circospezione lasciando capire che anche solo la stima di ricavi piatti potrebbe rilevarsi ottimistica. E rendere necessari interventi ancora più radicali sui costi. Il grande assente è il rilancio. Di una testata e di un brand che possono dire molto anche nell’attuale ecosistema dell’informazione. Per questo sarebbe indispensabile una ricapitalizzazione assai più robusta per evitare di trovarsi a breve, già tra pochi mesi, alla fine di un 2017 che si annuncia ancora critico, nella medesima condizione attuale. Oppure in una assai vicina. Una regola base del diritto societario, ma di semplice esercizio della responsabilità, esige che al premio di controllo su una società si accompagni per l’azionista di maggioranza anche l’onere di immettere capitale di rischio per fronteggiare il fabbisogno economico dell’impresa. Tanto più quello che è andato via via crescendo nel corso del tempo“. (E.G. per NL)