Può essere opinabile la scelta di Berlusconi di riportare Feltri al Giornale sul piano politico, ma certamente non sul piano commerciale.
Il ritorno alla base dell’ex direttore, richiamato d’emergenza per contrastare il fiume d’accuse, rivelazioni e "sputtanamenti" (il termine è stato sdoganato dal premier) che stava assalendo Berlusconi a cavallo dell’estate, ha portato i frutti desiderati, esattamente ciò che gli si chiedeva. Si voleva che il Giornale guadagnasse copie a scapito di altri quotidiani della stessa area politica, si voleva che diventasse contraltare credibile di chi stava facendo la guerra a Berlusconi, si voleva che creasse scandali tali da rubare la scena a quelli da poco resi pubblici da Repubblica e L’Espresso, finanche ricorrendo a colpi bassi e manovre non proprio deontologicamente corrette. Detto, fatto. Il nuovo ciclo di Vittorio Feltri ha accontentato i suoi editori e forse aiutato Berlusconi se non a difendersi, perlomeno a contrattaccare. Presentatosi da subito col caso Boffo già in mano, l’ex direttore di Libero ed il suo new deal hanno portato un immediato ritorno commerciale al quotidiano milanese. I dati parlano chiaro: rispetto alle vendite di un anno fa, a settembre 2009 il giornale ha registrato un aumento di 41mila copie (da 179mila a 220mila), con crescita addirittura del 22,3%. D’altro canto, però, secondo quanto riportato una settimana fa da Italia Oggi, lo stesso premier, in un colloquio informale col direttivo del Pdl, avrebbe espresso la propria soddisfazione e gratitudine al direttore bergamasco, ingigantendo i dati (Berlusconi avrebbe parlato di un incremento del 50% rispetto alla precedente gestione Giordano) e sostenendo che “se le vendite continueranno ad andare così, il giornale chiuderà il 2010 in attivo, per la prima volta nella sua storia”. Il Presidente del Consiglio si sarebbe anche fatto scappare una battutina su Feltri, che sarebbe “diventato ricchissimo”, dal momento che il suo ritorno al Giornale sarebbe stato suggellato da un contratto legato al numero di copie vendute dal quotidiano. E stando ai dati, il ritorno economico dovrebbe essere corposo. Passando alle altre testate, si nota che sono i giornali più “attivi” dal punto di vista editoriale quelli che fanno registrare dati di vendita maggiori. Primo tra tutti, suo malgrado, l’Avvenire. Il quotidiano cattolico, non più diretto da Dino Boffo, è cresciuto del 3% rispetto ai dati del 2008; mentre Repubblica, altro dei protagonisti della stagione, ha fatto segnare un più 6%, considerando solo le vendite in edicola, avvicinandosi così al Corriere (517mila copie contro 532mila), che invece zoppica. Sarà per la verve del Giornale, sarà per la crescita della concorrenza e la strategia d’attacco del rivale storico, Repubblica, ma la cura De Bortoli non pare funzionare per il quotidiano di via Solferino. Restando tra i grandi colossi, zoppica anche il Sole 24 Ore che, anch’esso, risente della mancanza di traini dal punto di vista informativo. Sarà che s’è occupato troppo poco di Berlusconi, sarà che il crack di Lehman Brothers è già vecchio d’un anno, ma il quotidiano di Confindustria perde ben 61mila copie e il 18,7% rispetto a un anno fa. Perdite relative anche per la Stampa (meno 0,3%), il Messaggero (meno 2,2%), un po’ più forti quelle della Gazzetta dello Sport (meno 8,4%). Libero, invece, a dispetto dell’addio di Feltri e del nuovo corso di Belpietro (che, di certo, non ne ha ammorbidito la linea) perde sì, ma “solo” il 3,3%, testimoniando così di non essere completamente dipendente dal “ricchissimo” Feltri. (G.M. per NL)