Editoria. Giornali in crisi, niente più soldi dall’Inpgi. Intanto al Fatto Quotidiano gli azionisti sono in fuga

Tira una brutta aria in Via Solferino: i soldi dell’Inpgi – la cassa di previdenza sociale dei giornalisti – potrebbero non bastare più a mantenere intatto il numero di dipendenti, a fronte delle perdite pesantissime accumulate negli ultimi anni.
Se in passato l’ente previdenziale, infatti, era servito da tappabuchi per le spese enormi di mantenimento della redazione, nel 2013 si dovrà, per forza di cose, procedere ai tagli del personale. I fondi per quest’anno, infatti, basteranno per circa un centinaio di prepensionamenti nell’intero comparto editoria e ciò scatenerà una corsa ad accaparrarsi quei pochi soldi rimasti, per non dover ricorrere ai licenziamenti. Data la portata della situazione, però, il Corsera non avrà altra scelta che licenziare e mandare in pensione. L’idea è quella di eliminare, entro tre anni, tutti coloro che entro la fine del 2013 avranno già 57 anni. Il direttore si riserverà la scelta di cinque membri dello staff da salvare, mentre a tutti gli altri, si calcola tra le settanta e le ottanta persone (55-60 solo tra i giornalisti), sarà dato il benservito. Ma il quotidiano di Rcs non è l’unico a trovarsi in una situazione difficile come questa. Mondadori, ad esempio, dovrà tagliare una cinquantina di posti e sta meditando l’abbandono della sede storica di Segrate, costosissima. Il Sole 24 Ore, nel frattempo, sta pensando a un aumento dal 14 al 35% dei contratti di solidarietà, cui i propri giornalisti sono sottoposti già da un anno. Il Fatto Quotidiano, invece, si trova di fronte a un’altra tipologia di esodo: quello degli azionisti. Come confermato dal quotidiano ItaliaOggi, infatti, Bruno Tinti, azionista dell’Editoriale Il Fatto, avrebbe dichiarato che Francesco Aliberti e altri soci starebbero meditando di vendere le proprie quote, ora che l’azienda produce ancora utili, prima che anch’essa si ritrovi nella stessa situazione dei suoi competitors. Fatti salvo Marco Travaglio, Antonio Padellaro, Cinzia Monteverdi, Marco Lillo e Peter Gomez, che in totale detengono il 43,09% della società, tutti gli altri (Aliberti, Chiare Lettere, Luca D’Aprile e lo stesso Tinti) sarebbero pronti a cedere le proprie quote, per un totale del 56,91%, quindi la maggioranza. La Montevedri, amministratore delegato, però sottolinea: “Il fatto che una quota rilevante, oltre il 50%, possa essere messo sul mercato non mi preoccupa assolutamente”. “Anzitutto – continua – quelli che restano, la banda che ha fondato Il Fatto, hanno diritto di prelazione sulle quote messe in vendita. Inoltre gli eventuali soci devono essere approvati dagli altri, in funzione dei principi ispiratori alla base del Fatto Quotidiano. Verranno sottoposti a un severo screening”. Il Fatto, quindi, non perderà la sua identità e indipendenza, fino a quando i conti saranno in ordine. Intanto per il 2013 l’obiettivo è di unificare la redazione cartacea e quella digitale, con Peter Gomez direttore unico e Antonio Padellaro che resterà presidente dell’Editoriale ed editorialista del giornale. (G.M. per NL)
 

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